CASO MACCHI
«Scarcerate Stefano Binda»
La richiesta dei difensori: nessun pericolo di fuga né inquinamento delle prove. Il cinquantunenne di Brebbia, condannato all’ergastolo, è in carcere dal gennaio 2016

La richiesta è stata depositata ieri all’ora di pranzo e la risposta potrebbe arrivare già nel giro di pochi giorni. Gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, difensori di Stefano Binda, hanno chiesto la revoca della misura cautelare: qualora fosse accettata, il 51enne di Brebbia, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi, potrebbe uscire dal carcere di Busto Arsizio, in cui si trova attualmente detenuto.
Binda è in carcere dal gennaio del 2016: il 23 aprile dell’anno scorso la Corte d’Assise del Tribunale di Varese lo ha giudicato colpevole del brutale delitto compiuto nel 1987, quando la studentessa di Casbeno fu trovata ormai senza vita, ferita a morte da ventinove coltellate, nei boschi sopra Cittiglio.
Ebbene, ieri gli avvocati Esposito e Martelli hanno depositato l’istanza alla Corte d’Assise d’Appello di Milano in cui chiedono «che la misura cautelare in essere venga revocata o modificata con altra meno afflittiva».
Una richiesta strutturata in punta di diritto, con una articolata analisi sull’assenza delle condizioni per cui è necessaria la misura restrittiva del carcere. Punto dopo punto, nel documento di una dozzina di pagine, i legali “smontano” la sussistenza di pericolo di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione del reato, anche facendo riferimento a precedenti sentenze della Corte di Cassazione.
Nel documento, i due avvocati hanno anche sottolineato la buona condotta del loro assistito: «Sono trascorsi tre anni dall’arresto di Stefano Binda – scrivono - e durante tutto questo periodo lo stesso ha dato prova di assoluta correttezza e rispetto delle istituzioni adeguandosi al regime carcerario e cercando di rendersi utile ai compagni meno fortunati ad esempio facendo da interprete per quelli che non parlano italiano». Nell’istanza alla Corte d’Assise di Milano, si chiede «anche l’ipotesi di una modifica della misura in essere con altra meno afflittiva. Quale estrema ratio gli arresti domiciliari, anche se la mancanza degli elementi sopra richiamati li renderebbero ingiustificati e pertanto estremamente punitivi», così come «laddove la Corte lo ritenga assolutamente indispensabile, l’applicazione di altra misura utile a gestire un controllo sull’imputato come ad esempio l’obbligo di firma».
Il documento è stato notificato sia alla Corte milanese sia all’avvocato Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi che si è costituita parte civile nel processo, e la decisione potrebbe arrivare nel giro di alcuni giorni. Intanto, resta ancora da fissare la data per l’udienza del processo d’Appello, quando gli avvocati Esposito e Martelli torneranno a chiedere l’assoluzione di Stefano Binda. Nel frattempo, hanno chiesto di farlo uscire dal carcere.
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