IN TRIBUNALE
Abiti taroccati a Buguggiate: 12 anni per la sentenza
Imputato irreperibile: non può essere giudicato
Sono passati oltre dodici anni da quando in un negozio di abbigliamento di Buguggiate furono sequestrati quasi 600 capi di abbigliamento di marchi prestigiosi, da Giorgio Armani a Burberry, tutti imitazioni degli originali. E dopo tutto questo tempo, con in mezzo una prima condanna poi annullata, l’imputato doveva ancora essere giudicato. Ma l’uomo è irreperibile e quindi è arrivata la sentenza di non doversi procedere. Caso chiuso? Non è detto, perché se in futuro sarà rintracciato, il procedimento penale sarà riaperto, per effetto della riforma Cartabia.
La vicenda risale al lontano novembre 2011, quando una perquisizione della Guardia di Finanza in una boutique (oggi chiusa) del paese alle porte di Varese porta alla scoperto di 560 tra pantaloni, camicie, abiti e giubbotti di firme come Ralph Lauren, Roy Rogers, Moncler, Peuterey, Refrigwear, Blauer, Stone Island, La Martina, oltre appunto ad Armani e Burberry. Capi di abbigliamento apparentemente originali ma che gli inquirenti ritengono contraffatti. E così i due soci - lei di 55 anni e residente a Cuggiono, lui 51enne di Barasso - vengono denunciati per concorso in tre reati: introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, ricettazione e frode nell'esercizio del commercio.
TITOLARI A GIUDIZIO
Alla chiusura delle indagini, i due negozianti si ritrovano a giudizio con le stesse accuse. E i legali delle aziende i cui capi sono stati “taroccati” si costituiscono parte civile per chiedere i danni. Ma se la donna patteggia ed esce di scena, l’uomo nel frattempo è sparito e le forze dell’ordine non riescono a trovarlo per notificargli gli atti. Viene comunque processato in Tribunale a Varese e condannato a due anni e mezzo di reclusione per i primi due capi d’imputazione (assolto per il terzo). Ma il suo difensore, l’avvocato Federico Buzzi, impugna la sentenza e la Corte d’appello ne dichiara la nullità perché non fu applicata la normativa all’epoca in vigore per gli irreperibili: il giudice di primo grado avrebbe dovuto sospendere il processo.
PROCESSO DA RIFARE
Siamo nel 2021 e gli atti tornano quindi a Varese, dove il Tribunale deve prendere atto del fatto che le ricerche della polizia giudiziaria non hanno dato esito e l’imputato è sempre uccel di bosco. Non risulta in alcun registro anagrafe degli ultimi Comuni in cui era stato segnalato, né in quello dell’Aire, gli italiani all’estero. E così arriviamo al dicembre 2023, quando il giudice Angelo Parisi, di fronte a questa situazione, pronuncia una sentenza che pone fine (con “riserva”) al caso del 51enne: lo proscioglie dal commercio di capi contraffatti perché il reato è prescritto, lo assolve nuovamente dalla frode, mentre per la ricettazione (che si prescrive nel 2025 a causa della recidiva) dispone di “non doversi procedere” perché, essendo irreperibile, non può essere giudicato perché non c’è prova che sia a conoscenza delle accuse a suo carico. Sentenza che può però essere revocata, con riapertura del processo, se l’imputato viene rintracciato.
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