IL CASO
Maxi donazione all’amante malato: raggiro a Casciago
Torinese condannato a tre anni per circonvenzione di incapace
Si conoscono su un sito di incontri, si innamorano e lui, gravemente malato, chiede a lei di aiutarlo a sostenere le spese per le cure. La donna, affetta da disturbo ossessivo compulsivo, non ci pensa due volte e sborsa quasi 40.000 euro attraverso ricariche della PostePay. Non solo: per trovare i soldi, la varesina chiede persino un finanziamento a una società scovata on line, ma viene truffata: paga 2.900 euro per presunte spese di gestione della pratica, senza ricevere però i seimila euro promessi.
È questa la ricostruzione della vicenda che è costata una condanna a tre anni e un mese di reclusione a un 58enne torinese, imputato di circonvenzione di incapace, con l’aggravante di aver commesso i fatti mentre era agli arresti domiciliari. Della truffa del finanziamento, invece, doveva rispondere solo un altro torinese, di 67 anni, che però è stato assolto dal giudice del Tribunale di Varese, Niccolò Bernardi, come chiesto anche dal pm Lucilla Gagliardi: il suo difensore, l’avvocato Sara Morandi, ha infatti dimostrato che nel periodo incriminato (il 2018) l’uomo era in carcere in Francia e l’anno prima aveva denunciato un utilizzo indebito dei suoi documenti, probabilmente sottratti on line da qualcuno dopo che lui aveva risposto a un annuncio di lavoro.
Per il 58enne il pubblico ministero aveva chiesto una pena di tre anni, ritenendo che avesse approfittato delle condizioni psichiche della donna, attualmente seguita da un amministratore di sostegno. «Una donna dalla fragilità emotiva, che non era in condizione di acconsentire in piena libertà alle richieste di denaro» da parte di quell’uomo con cui aveva iniziato una relazione a distanza. Un uomo che aveva effettivamente gravi problemi di salute, ma che «era curato dal Servizio sanitario nazionale». Non c’era quindi alcun bisogno - ha spiegato l’accusa - di «ricorrere al mercato nero» per acquistare un farmaco costoso - così il torinese aveva giustificato l’urgente bisogno di denaro.
Diversa la ricostruzione del difensore dell’imputato, l’avvocato Tiziana Porcu, secondo la quale la signora non fu “indotta” a pagare, ma offrì quei soldi volontariamente: «Gli tese la mano». Tanto che «fece querela solo per la truffa del prestito» (reato per cui si è costituita parte civile con i legali Aimone Picchio e Enrico Maria Picco). Una donna che «nei pochi incontri che i due ebbero, circa quattro volte al mese, e sempre di fretta, si presentava curatissima, pulita, lucida, come l’ha descritta anche il carabiniere che abbiamo sentito come testimone. Quindi l’imputato non poteva essere consapevole della sua patologia». Da qui la richiesta di assoluzione, respinta però dal giudice. La cui sentenza sarà ora impugnata in appello.
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