IL CASO
Miogni, agenti in rivolta
L’intervento del sindacato: «Situazione intollerabile. In carcere manca tutto, costretti a stampare a casa»
Mancano le stampanti e i telefoni, e gli apparecchi che ci sono non sempre funzionano, così a volte è inevitabile portare a casa per la stampa documenti riservati e conservati su chiavette personali. Manca la miscela necessaria per far funzionare il decespugliatore e quindi per tagliare l’erba all’esterno. Manca la carta da usare in bagno per asciugare le mani. Mancano i posacenere. Mancano i neon nella zona degli uffici. E mancano anche gli agenti, così i turni sono massacranti e basta una malattia per mandare in crisi tutto il “sistema” della sorveglianza.
Nel carcere dei Miogni, in cui si lavora per sistemare i bagni delle celle e in cui di recente è stato risolto il caso della tv che non funziona (in arrivo per i detenuti una quarantina di apparecchi nuovi di zecca), ora sono gli agenti della Polizia penitenziaria ad alzare la voce. Denunciando, per bocca del sindacalista Luigi Domenico Sarto, segretario provinciale del Cnpp, una situazione lavorativa ormai intollerabile, visto che a mancare non è la risposta a un’emergenza, ma quelle forniture e quelle attrezzature che dovrebbero rientrare nella più assoluta normalità. «Quello che è successo di recente con la questione dei problemi televisivi e della protesta dei detenuti è indicativo di ciò che sta succedendo ai Miogni: gli agenti hanno gestito il malumore dei detenuti, li abbiamo calmati e abbiamo spiegato loro come procedere senza danni, e i loro problemi sono stati giustamente risolti. E noi? Ci troviamo a lavorare in condizioni inaccettabili, eppure non accade nulla. Tutti i nostri motivi di lamentela sono stati esposti più volte al direttore, ma la risposta è sempre la stessa: non si può fare niente perché non ci sono i soldi. Una risposta che non possiamo più accettare per la nostra dignità e per quella del nostro lavoro».
Come si è detto, l’elenco delle lamentele è lungo e tocca le vette del surreale, perché è davvero difficile immaginare, ad esempio, che in un carcere, in certi uffici e in certe ore, non si possa stampare un documento. «Eppure è proprio così - spiega ancora Sarto -: manca il toner, manca il pc, quello che c’è non funziona. E così dobbiamo comprare di tasca nostra chiavette usb su cui mettiamo le carte, e poi portiamo queste chiavette a casa e stampiamo lì. A parte la considerazione che questi documenti contengono dati sensibili e informazioni legate alla sicurezza del carcere, e che quindi sarebbe sicuramente meglio non farli uscire dai Miogni, che cosa potrebbe succedere in caso di perdita della chiavetta?».
E che dire poi della questione del decespugliatore? Per tagliare l’erba che c’è su tre lati della struttura, serve la miscela da mettere nel decespugliatore, ma se la benzina potrebbe venir fuori, il problema è l’olio: «E sembra non esserci soluzione - spiega Sarto -: l’olio dobbiamo comprarcelo noi». Così come affidato alla buona volontà sembra il “caso” dei posacenere da mettere in sezione per i detenuti che fumano nei momenti e nei luoghi in cui è consentito: «Ho proposto di comprare quelli di plastica che si trovano sui tavolini dei bar: non mi pare una grande spesa ma non si può fare nemmeno questo».
Il tutto, come detto, mentre nella sezione, e cioè nel carcere vero e proprio, è attivo un cantiere. Con quattro detenuti al lavoro al piano terreno, dove da gennaio si scrostano muri, si sostituiscono tubature e si installano sanitari, proprio perché i lavori prevedono il rifacimento dei bagni. I Miogni dunque vivono, si lavora per renderli più a misura d’uomo e la chiusura definitiva non sembra più davvero all’ordine del giorno. E allora la domanda nel sindacalista sorge spontanea: «Perché fare tutti questi lavori, così come ordinato dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e poi non garantire quel che serve per la vita quotidiana della struttura?».
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