Spagna
Spagna, tempo scaduto per nuovo governo: si torna alle urne
Ma dal voto del 26 giugno rischio di nuove impasse
Roma 2 mag. (askanews) - Scade a mezzanotte il tempo utile per la formazione di un nuovo governo spagnolo: una mera formalità dopo il fallimento, la settimana scorsa, dell'ultimo giro di
consultazioni che, in mancanza di un accordo in extremis fra i
partiti, costringe la Spagna per la prima volta dal ritorno della democrazia a sciogliere le Cortes e tornare alle urne.
Il monarca spagnolo Felipe VI non ha infatti proposto alcun
candidato per la formazione di un nuovo esecutivo, certificando
il fallimento delle trattative e dunque il ritorno al voto
previsto per il prossimo 26 giugno, dove a sfidarsi saranno le
quattro forze già protagoniste dell'impasse nato dalle elezioni
del 20 dicembre: le due formazioni di destra Partido Popular e
Ciudadanos in campo conservatore, i socialisti del Psoe e la
sinistra radicale di Podemos in quello progressista.
Ed è così iniziato già da alcuni giorni lo scaricabarile fra
i partiti, con il leader socialista Pedro Sanchez che dopo aver
informato la stampa sulla richiesta del re di una campagna
elettorale - che inizierà ufficialmente il 10 giugno - incentrata sui programmi e non sulle recriminazioni, ha accusato Podemos di aver reso impossibile l'alleanza a tre con Ciudadanos, e il Pp di immobilismo.
Sanchez ha poi ribadito anche oggi la volontà di non raggiungere alcun accordo con il Pp, ricevendo le critiche non solo del partito di maggioranza relativa, ma anche di Ciudadanos, che lo ha invitato a non stabilire delle "linee rosse" prima del voto.
Solo un assaggio di quella che sarà - contrariamente agli auspici della Zarzuela - una campagna dai toni aspri. Incentrata non solo sull'opposizione fra destra e sinistra, ma anche - all'interno dei singoli schieramenti - fra le formazioni "nuove", Podemos e Ciudadanos, e quelle istituzionali, che rischiano di vedersi sorpassare nelle preferenze dei rispettivi elettorati.
L'obbiettivo di tutte le formazioni è dunque quello di assumersi
i meriti di aver cercato un accordo - o viceversa, di aver
rifiutato accordi palesemente insostenibili - scaricando sulle
altre le responsabilità di un fallimento che appare collettivo,
in uno scenario di frammentazione politica inedita in un Paese
che dal 1982 ad oggi aveva espresso sempre delle chiare
maggioranze.
Stando agli ultimi sondaggi un primo sorpasso, che non è riuscito a Podemos da solo nelle elezioni del 20 dicembre, potrebbe riuscire ad una coalizione con i comunisti di Izquierda Unida (Iu), che diventerebbe la prima forza della sinistra spagnola.
In base alla rilevazione di Metroscopia pubblicata dal quotidiano spagnolo El Pais, Podemos-Iu avrebbe il 20,8% delle preferenze contro il 20,1% dei socialisti; immutato il primo posto del conservatore Partido Popular, apparentemente immune agli scandali di corruzione e all'immobilismo politico e accreditato del 29% delle preferenze, contro il 17,7% dei rivali di Ciudadanos.
Rispetto al voto di dicembre scorso è proprio la destra ad
aver guadagnato qualche punto percentuale, soprattutto grazie a
Ciudadanos (+3,8%), mentre nonostante l'impegno dimostrato per la formazione di un nuovo esecutivo il Psoe perde l'1,9% e Podemos e Iu insieme perdono il 3,6% (il -5,5% di Podemos è compensato in parte da un aumento di Iu, che ha raddoppiato i propri consensi fino ad arrivare al 6%).
Va notato che le percentuali non rappresentano necessariamente il numero dei seggi, data la complicata legge elettorale che tende a penalizzare i partiti minori; inoltre, a favorire una - ancora ipotetica - coalizione della sinistra radicale sono soprattutto gli elettori di Podemos, assai meno la base di Iu, che voterà l'accordo di qui a mercoledì: dunque non è detto che i consensi dei due partiti si sommino.
I socialisti si vedono paradossalmente puniti dall'elettorato nonostante gli sforzi di Sanchez per trovare la quadratura del cerchio con un'alleanza tripartita, vanificati soprattutto dall'atteggiamento intransigente di Podemos; Sanchez è addirittura considerato il potenziale presidente del governo migliore fra i vari leader in campo, nonostante rischi di essere esautorato dal prossimo congresso del partito e di non arrivare alle prossime elezioni come candidato premier del Psoe.
Il rischio concreto è tuttavia che dalle urne esca un responso
più o meno analogo a quello di cinque mesi fa: nessuna
possibilità di maggioranza semplice - un dato che sembra già
acquisito in partenza - o di coalizione a due, anche se l'attuale aumento delle preferenze di Ciudadanos potrebbe portare un'ipotetica alleanza di destra con il Pp assai vicino alla quota necessaria di 176 seggi.
Alla finestra rimangono i nazionalisti catalani, che si sono
ritrovati pomo della discordia fra Podemos e i socialisti,
contrari a qualsiasi concessione in termini di referendum di
autodeterminazione: una concessione che farebbe guadagnare
consensi alla branca catalana del Psoe, il Psc, ma rischierebbe
di provocare un tracollo nella altre regioni. La questione è solo rimandata: Barcellona ha ammorbidito i toni rimandando ogni
dichiarazione unilaterale di indipendenza al 2017. Ma per
risolvere il problema sarà necessario che a Madrid vi sia un
esecutivo autorevole, non fosse altro che per avviare quella
riforma costituzionale considerata la possibile soluzione alla
crisi ma che necessita di un consenso tanto ampio quanto al
momento inesistente.
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