IL LUTTO
Addio a Fulvio, l’uomo che si credeva Gesù
Con la sua tunica bianca e il suo borsello era una figura notissima ai frequentatori del centro storico. Aveva 61 anni: il funerale dopo l’autopsia che sarà eseguita lunedì 26

Lo conoscevano tutti, almeno di vista. Fulvio Chendi era un personaggio che non passava inosservato. La sua tunica sdrucita e la sua andatura incerta facevano ormai parte della storia della città, così come la solita domanda che rivolgeva a chiunque: “Scusa, hai una sigaretta?”.
Fulvio se n’è andato l’altra notte. Aveva 61 anni, è morto nel sonno senza che nessuno se ne accorgesse.
Il corpo è stato trovato nella serata di venerdì 23, che il decesso sia avvenuto per un malore è cosa praticamente certa. Per fugare gli ultimi dubbi e ricostruire i suoi ultimi istanti di vita, la Procura di Busto Arsizio ha comunque disposto l’autopsia che sarà condotta domani. Concluso l’esame, la salma sarà restituita alla famiglia per il funerale.
A Legnano tutti conoscevano Fulvio, perché aveva una particolarità più unica che rara: semplicemente era convinto di essere Gesù, per questo si abbigliava come lui. Chendi era in cura in psichiatria, ma non dava fastidio a nessuno. Anzi tanti, quando lo incontravano, prendevano la scusa dell’immancabile sigaretta per scambiare qualche parola. Perché prima di tutto lui aveva sempre bisogno di parlare, di qualcuno che gli desse retta e che se possibile lo confermasse nelle sue convinzioni. Tutti ricordano il borsello che estate o inverno Chendi portava sopra la tunica bianca. Dentro c’era un foglio piegato in quattro che certificata la sua natura divina. Poche righe che anni fa qualcuno, vinto dalla sua insistenza, gli aveva messo nero su bianco. Forte delle sue idee e di quel pezzo di carta, in passato era arrivato a impedire l’ingresso di persone in chiesa: «Questa è casa mia, tu qui non entri».
Non era mai violento né aggressivo. Per ottenere il permesso di entrare in basilica bastava la solita sigaretta. La stessa che era sufficiente per convincerlo ad abbandonare le appassionate discussioni che di volta in volta iniziava con i parcometri o con i cartelli stradali di corso Magenta.
Qualcuno, spiazzato, lo evitava. Ma i più ormai avevano imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo. Era un uomo buono, che non rifiutava l’aiuto di chi voleva offrirglielo, e che cercava di vivere la sua malattia nel modo più dignitoso possibile. Facile immaginare che al suo funerale tanti passeranno per l’ultimo saluto, e che ancora più persone tra via Buozzi, corso Magenta e piazza San Magno sentiranno ogni giorno la sua mancanza.
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