IL PERSONAGGIO
Il Poz è tornato a fare magie
Dagli inizi difficili sulla panchina di Varese al sogno scudetto: «Sassari mi ricorda i Roosters della Stella»

Gianmarco Pozzecco rivive il clima magico dei Roosters alla guida di Sassari. 20 anni dopo la Stella con Varese, l’ex Mosca Atomica sogna nuovamente il tricolore con il Banco Sardegna, portato in finale grazie ad una incredibile serie di 22 vittorie in fila culminata col 3-0 contro i campioni in carica di Milano.
«Sono emozioni diverse rispetto a quando giocavo - racconta -, arrivare in finale da allenatore dà una soddisfazione più ampia. E non può che essere così: io non sono padre ma considero i miei giocatori come 12 figli, mi commuovo nel vedere gesti come quello di Spissu che si è avventato su una palla vagante rubandola a James».
Significativo il suo abbraccio finale domenica agli ex compagni Meneghin e De Pol, oggi commentatori TV...
«La loro presenza è stata molto utile, specialmente al Forum di Assago perché li avevo vicini; su determinate situazioni di gioco li guardavo, mi hanno aiutato a restare calmo e condividere con loro questa vittoria è stato bellissimo così come sentire le parole che Sandro e Menego mi dedicano in Tv. Non so se vinceremo o meno lo scudetto, però se riuscissimo a farcela sarebbero due titoli clamorosamente particolari».
Come la Varese del 1999, la sua Sassari è una sorta di squadra simpatia...
«Non credo di essere andato lontano dalla realtà sostenendo che hanno tifato tutti per noi. I miei sono ragazzi bravi e competitivi, che danno il massimo ma all’insegna del fair play; in più c’è anche il fatto che partivamo da sfavoriti. Dopo due sconfitte all’inizio del mio cammino eravamo dodicesimi, siamo usciti più forti da quella situazione particolare e adesso vogliamo lottare fino in fondo».
Da giugno 2018 a febbraio 2019 il telefono non ha mai squillato, ora è in finale scudetto: come ci si sente?
«Non avevo certo un grande mercato e mi ero rassegnato di aspettare quelle piazze in A2 dove avevo degli estimatori. Ritrovarmi dopo 4 mesi in finale è piacevole, ma sapevo di aver commesso errori anche pesanti e condizionato la mia immagine di allenatore. Assumersi le proprie colpe è un segnale di crescita, e Stefano Sardara è stato chiaro fin dall’inizio chiedendomi di non concedermi follie sul piano comportamentale. Ma era un obiettivo che condividevo pienamente, e il presidente mi ha instradato perfettamente».
Oggi Pozzecco è un allenatore vero?
«Non guardo a queste cose, ciò che mi stimola è vedere i miei giocatori felici: la gratificazione viene da osservare Jamie Smith felice per aver giocato bene davanti alla sua famiglia in gara 3. Io non dipendo dal vincere o perdere, cerco di creare una comfort zone nella quale i giocatori stanno bene e danno il massimo per una persona che li mette a loro agio».
Si sarebbe mai aspettato di arrivare in finale scudetto quando si dimise da Varese nel febbraio 2015?
«Ripenso spesso a quell’annata sfortunata, sono convinto che se non si fosse fatto male Kangur alla terza giornata avremmo fatto bene perché era l’equilibratore della squadra. Poi con Caja la squadra giocò molto meglio: feci bene a suggerire lui quando mi dimisi, ho grande considerazione di Attilio perché è l’unico allenatore d’Italia di cui tutti parlano bene per le sue doti in palestra».
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