MOSTRE
Bernardino Luini: il Raffaello di Lombardia nato a Dumenza
Un evento che coinvolge la provincia

Dal borgo natale di Dumenza, sulla sponda magra del lago Maggiore, tra i monti alle spalle di Luino - da cui il soprannome Luini - Bernardino Scapi (1481-1532 circa) scese a Milano in giovanissima età, al seguito dei genitori che vendevano ortaggi e castagne nel mercato di piazza Duomo. Ha così inizio la fortuna di un pittore di provincia divenuto uno dei maestri più amati e richiesti nella Milano del Cinquecento, per i suoi modi gentili e la pittura commovente, le Madonne dalla pelle di porcellana e i bambini teneri.
Ammiratissimo anche dopo la morte, quando la sua bottega e i figli, in particolare il minore Aurelio, si preoccupano di portare avanti una formula di successo, aggiornandola secondo nuove sensibilità. Queste vicende, che coprono un secolo di storia lombarda, sono messe a fuoco dalla mostra che Palazzo Reale dedica a questo maestro: dodici tappe ne ripercorrono gli anni giovanili, sperimentali e vagabondi, l’escursione in Veneto alla base della peculiare maniera luinesca, quando, lontano da casa, Bernardino si firma «milanese» nella «Madonna e Santi» del Musée Jacquemart André di Parigi, datata 1507, piena di umori delle terre venete.
Tornato a Milano, ormai in mano francese, Bernardino abita con il fratello in porta Cumana, dove stanno gli immigrati di Dumenza. Negli anni della maturità, dopo un probabile viaggio a Roma per cercare ispirazione tra i resti dell’antichità, Luini segue una strada che gli garantisce celebrità e commissioni illustri ma ne allenta inevitabilmente lo sperimentalismo creativo: un classicismo moderato e comunicabile, un linguaggio attento a esigenze narrative devozionali che fa proprie la grazia di Leonardo, privata però delle inquietudini del maestro toscano, soggetti raffaelleschi innestati su paesaggi padani e la tecnica innovativa del Bramantino evitandone asprezze e oscurità.
Questo è il percorso del maestro di Dumenza e dei suoi contemporanei, attraverso duecento opere (40 restaurate in occasione della mostra), molte provenienti da musei e collezioni milanesi integrate da significativi prestiti europei e americani.
Dipinti selezionati e studiati da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, coadiuvati da un nutrito gruppo di studenti e dottorandi della Statale (che nella settimana dal 5 all’11 maggio saranno, gratuitamente, guide d’eccezione alla mostra) e presentati secondo un criterio cronologico favorito dall’allestimento sobrio dell’architetto Piero Lissoni.
Costante è il confronto con i contemporanei, Bergognone, Andrea Solario, Zenale, Cesare da Sesto, Bramantino. Tra la prima opera nota, la «Madonna con il bambino» da Esztergom, e la più tarda «Madonna del Roseto» di Brera, in cui Gesù afferra un’aquilegia, fiore simbolo del suo martirio, sfilano pale d’altare ricostruite per l’occasione (con un importante prestito dalle collezioni dell’Isola Bella), ritratti e affreschi staccati. Tra questi, le lunette che decoravano la volta a ombrello di un ambiente della Casa degli Atellani, di fronte a Santa Maria delle Grazie (ora al Castello sforzesco), una sequenza di ritratti con la genealogia allargata della famiglia Sforza; e quelli, ora a Brera, provenienti dal monastero agostiniano di Santa Marta, eseguiti su commissione della superiora, la mistica Angela Panigarola.
Sempre da Brera vengono gli affreschi che decoravano, secondo un complesso programma iconografico sacro e profano, la villa di delizie di Gerolamo Rabia, detta la Pelucca, nelle campagne tra Monza e Milano. È questa una delle grandi imprese decorative che vedono a lungo impegnato Luini a Milano e fuori città, e che la mostra invita a riscoprire. A pochi passi da Palazzo Reale, nella chiesa di San Giorgio al Palazzo, gioiello uscito dalle mani di Bernardino è la cappella del Corpus Domini (1516): dipinti su muro e su tavola danno vita a una macchina scenografica molto illusionistica, consapevole delle invenzioni prospettiche di Bramante nella vicina Santa Maria a san Satiro. Ma la vera gloria milanese di Luini, figli e bottega è San Maurizio al Monastero Maggiore: sia lo spazio pubblico che quello claustrale sono interamente dipinti, dal pavimento al soffitto, grazie alla disponibilità economica del convento benedettino dove si monacavano le fanciulle dell’aristocrazia milanese.
Gli itinerari fuori città si diramano tra Chiaravalle Milanese e la certosa di Pavia, per poi salire verso Saronno fino a Como, Mendrisio e Lugano. Tappe di cui danno conto alcuni itinerari pensati come inscindibili dalla mostra stessa.
Luoghi visitabili avvalendosi del secondo volume del corposo catalogo pubblicato da Officina Libraria, con schede che aiutano all’esplorazione e offrono spesso documentazione inedita.
Il percorso espositivo si chiude invece nella monumentale Sala delle Cariatidi: il netto cambiamento d’ambiente bene si presta a ospitare la complicata eredità di Luini, riproposta dapprima in maniera abbastanza fedele dalla bottega e poi dai quattro figli; solo il minore Aurelio, ha il coraggio di un cambio di rotta rispetto al linguaggio paterno, rassicurante ma ormai ripetitivo, avvicinandosi alla pittura lagunare e ai virtuosismi della maniera. Alla sua morte, nel 1593, ha inizio un’altra saga familiare, quella dei bolognesi Procaccini, destinati a diventare gli artisti di fiducia di San Carlo.
«Bernardino Luini e i suoi figli» - Milano, Palazzo Reale, fino al 13 luglio, ore 9.30-19.30, lunedì 14.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30, info 02.54914.
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