LA SENTENZA
«Bevi il detersivo, così impari»
Torture e botte alla moglie e ai sette figli: condannato a 6 anni e 8 mesi dal Gup di Busto Arsizio, Piera Bossi

Non è chiaro se l’istinto paterno sia un riflesso cosciente o uno slancio viscerale. Nessuna delle due spinte sembra però aver agito sul quarantanovenne condannato dal gup Piera Bossi a sei anni e otto mesi di reclusione. Sette figli, gli ultimi due concepiti con violenza, alcolizzato, nullafacente, incrostato da arcaicismi etnici che la vita in Occidente non ha per nulla scalfito: sono stati anni di violenze inaudite quelle subite dalla famiglia pakistana che solo a novembre del 2015 decise di sporgere denuncia. Ce ne sono voluti otto per arrivare alla sentenza di primo grado perché nel frattempo l’imputato - al quale il giudice delle indagini preliminari non ritenne di applicare una misura cautelare - era sparito dalla circolazione.
Nonostante la gravità delle accuse l’uomo è a piede libero, il carcere lo vedrà se e quando la condanna diventerà definitiva. Con le vittime, comunque, non ha la possibilità di avere contatti.
RISPETTO PER GLI ADULTI
Mazzate alla moglie durante le gravidanze, schiaffi e pugni ai bambini, ciabattate in faccia, torture alla figlia più grande che aveva l’ardire di difendere la mamma.
Tra le punizioni più frequenti che il quarantanovenne infliggeva all’odierna venticinquenne, c’era il bicchierino di detersivo. Quando la ragazzina si intrometteva per proteggere il resto della famiglia, la peggio l’aveva lei: l’imputato la costringeva a bere prodotti per le pulizie domestiche. «Devi imparare la lezione perché non hai rispetto per i grandi», le diceva chiudendola a chiave nella stanza. Gli spasmi addominali, il dolore allo stomaco, le crisi di vomito non lo muovevano a pietà. «Tanto non muore, non preoccupatevi. Se morirà non importa, sarà meglio così».
I piccoli venivano minacciati con un coltello alla gola ed erano spesso percossi con la mazza da hockey. Alla moglie la spaccò addirittura in testa tanto che venne ricoverata con una ferita profonda. Alla figlia tagliò il pollice perché si attardava a cucinargli le cipolle.
VENT’ANNI DI DOLORE
L’imputato - che è assistito dall’avvocato Roberto Aventi - e la moglie si erano conosciuti in Pakistan e si sposarono nel 1996. Un matrimonio combinato dai genitori, con una piccola omissione: la tendenza dell’allora ventiduenne ad abusare di alcol.
La donna si rese conto della drammaticità di quel vizio solo nel 2009, quando lo raggiunse in Italia insieme ai primi cinque figli. Fu uno shock: il marito era rimasto disoccupato, trascorreva le giornate a bere e a insultare, a minacciare e a picchiare tutti senza alcuna ragione. Piangendo, con un senso di umiliazione e vergogna, la donna rivelò agli investigatori anche i numerosi abusi fisici: «Nella mia cultura ho problemi a parlare di queste cose in modo dettagliato. Posso dire che mi opponevo alle sue richieste anche con la forza e lui con la forza mi toglieva i vestiti e abusava».
Il pubblico ministero Martina Melita, al termine della requisitoria ha chiesto la condanna a sei anni e otto mesi e il giudice Bossi ha accolto la richiesta in pieno.
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