BRANDUARDI
Un Kyrie di speranza
Il cantautore racconta il canto nato nella casa-studio di Bedero durante il lockdown

Vengono in mente Beethoven e la sua sordità precoce, ma anche Madre Teresa di Calcutta e quel “silenzio di Dio” che la tormentò a lungo. Due sofferenze immense, ciascuna a suo modo. Angelo Branduardi («71 primavere oggi, ma festeggerò il compleanno l’anno prossimo») vive con la moglie Luisa Zappa a Bedero, nel silenzio ammantato di verde della Valcuvia. «Abbiamo girato mezzo mondo, ma qui è il nostro Canada, il nostro luogo dell’anima».
Ma anche angolo di solitudine in cui Branduardi s’è isolato per 11 mesi di fila, uscendo di casa quasi solo per fare quattro passi e comperare il giornale. «Durante la pandemia non sono stato capace né di ascoltare, né di comporre musica. Ho sperimentato il silenzio di Dio e della musica, che sono poi la stessa cosa se è vero, com’è vero, che essendo la musica - per dirla con Ennio Morricone, con cui ho avuto la fortuna di lavorare per anni - l’arte più astratta che esista, essa è anche la più vicina all’Assoluto, con la maiuscola».
Eppure è stato proprio da quel silenzio non voluto e quasi subìto che è sbocciato il suo ultimo capolavoro, un successo clamoroso sui social a dispetto di mode e mercati. “Kyrie (Signore pietà)” sono 4 minuti e 12 secondi di «provocazione» in parole e note, in perfetta continuità con una storia artistica che, fin dagli esordi discografici a metà anni Settanta, ha rappresentato un unicum controcorrente rispetto a certe canzoni e canzonette che tenevano la scena. Qui c’è però qualcosa in più e non solo per il riferimento esplicito ai suadenti ritmi africani della Missa Luba. «Kyrie contraddice le regole della musica leggera. Anzitutto perché ha una introduzione lunghissima prima che cominci il canto. Non è davvero la modalità corrente. Ma l’aspetto cui più tengo me lo hanno segnalato alcuni amici, tant’è vero che neppure me n’ero accorto: dopo il mi minore, con la sua tristezza, ecco cinque secondi finali in mi maggiore, come si usava nel Rinascimento, che sono stati letti come un inno alla rinascita». Il ritmo crescente, sostenuto da un coro di fondo su cui irrompe la voce rotonda del cantautore, incontra il felice testo poetico di Luisa Zappa che si chiude con un verso ch’è il suggello al brano: «E l’amore non basta per lenire il dolore».
Non c’è, allora, speranza?
«No, tutt’altro. Anzi, all’inizio ero convinto di esprimere sofferenza e dolore, invece ne è nato un senso di speranza. Difficile da spiegare, impossibile: è il mistero dell’arte e dell’artista».
Il buio è passato, in giardino la neve ha lasciato il posto ai primi accenni di primule. Accanto alla casa in legno scandinavo aggettata sulla valle e su uno scorcio di Lago Maggiore, è sorto lo studio di registrazione all’americana, tutto finestrato e senza divisioni interne, col pianoforte a sbalzo sul giardino e un’acustica eccezionale certificata dall’Aes, autorità internazionale in materia. Qui s’è fermata la coppia ed è nato “Kyrie”. «Perché fermarsi è importante per trovare se stessi».
«Durante la pandemia
ho sperimentato
il silenzio di Dio
e della musica»
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