LA SENTENZA
Eva affamata d’affetto
La suora non dominava: il legame tra vittima e religiosa visto dalla Cassazione

Nessuno dei motivi di ricorso contro la sentenza che ha riconosciuto suor Maria Angela Faré colpevole di violenza sessuale ha retto. Tre anni e sei mesi di condanna per aver abusato di Eva Sacconago le resteranno cuciti addosso come la famosa lettera scarlatta.
I giudici della suprema corte hanno depositato le motivazioni della decisione di confermare la pena, in ventitré pagine il consigliere relatore Donatella Galterio è stata molto netta nel cassare le doglianze delle parti.
Autopsia e diari
Gli avvocati Fabrizio Busignani e , nell’udienza dello scorso dicembre, avevano eccepito l’utilizzabilità di atti e documenti - compresa le perizia post mortem sul corpo di Eva, morta suicida a giugno del 2011 - a loro parere acquisiti in modo irrituale. Gli ermellini spiegano: «Non basta lamentare la violazione della norma, occorre che vengano specificamente indicati sia i documenti indebitamente inseriti, sia le prove illegittimamente utilizzate ai fini della condanna». Per quanto riguarda la relazione del medico legale la suprema corte fa notare che fu proprio la difesa della suora a legittimare l’acquisizione della relazione «che gli avvocati stessi avevano sollecitato in precedenza». I difensori inoltre chiedevano un’attenzione e una rilevanza adeguata alle dichiarazioni di Eva, quando in commissariato negò di aver subito violenze e affermò di aver diffuso voci non veritiere solo per attirare l’attenzione altrui. «Lettere, fax e diari» prodotti dall’accusa rivestono, a parere dei giudici del Palazzaccio, lo stesso valore di una deposizione e sono anzi più eloquenti delle sommarie informazioni rese dalla ragazza che sembravano ritrattare quanto la stessa avesse informalmente raccontato all’ispettore di polizia Silvia Nanni, «I rapporti sessuali contestati avvennero in un’epoca in cui la relazione tra le due donne era cessata e in cui le attenzioni di Eva erano totalmente assorbite da don Alessandro Bonura, di cui si era perdutamente innamorata, non ci sono dubbi quindi sull’insussistenza di una consensualità ai rapporti che la religiosa, accecata dalla gelosia per il sacerdote, le aveva imposto».
Fragile, non inferiore
L’avvocato di parte civile Tiberio Massironi, nel suo ricorso, aveva censurato la corte d’appello per non aver analizzato i disagi manifestati dalla parrocchiana di Sant’Edoardo fin dall’adolescenza e le modalità di attaccamento ai suoi affetti: il legame con la suora sarebbe stato frutto di una strumentalizzazione della evidente inferiorità psichica della vittima. A parere della suprema corte però la ragazza soffriva di fragilità emotiva, non di disturbo della personalità. «Le ragioni che l’avevano spinta a farsi sedurre fin da adolescente dalla suora, figura ai suoi occhi carismatica ed esaltata dal divario di età e donna soprattutto accudente sono riconducibili a questa fragilità. Ma Eva ha sempre dato prova di essere in grado di autodeterminarsi nelle sue scelte esistenziali e affettive (sintomatica l’iniziativa di troncare la storia con l’imputata quando ha conosciuto don Bonura come quella di andare a vivere sola , è quindi da escludere la condizione di inferiorità nei rapporti interpersonali». E questo è davvero l’epilogo della triste storia di Eva Sacconago e della suora che si insinuò nella sua vita. Maria Angela Faré dal 24 dicembre è in carcere in esecuzione della condanna divenuta definitiva. Da gennaio gli avvocati potranno valutare la richiesta di misure alternative.
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