CAPI CONTRAFFATTI
Vuitton, Gucci e D&G: boutique del tarocco a Busto
Vendevano abbigliamento e accessori contraffatti: sei a processo

Prima di darsi all’abbigliamento aveva trafficato droga e coniato denaro falso. Ora il cinquantaseienne di origini gelesi è a processo per contraffazione di griffe prestigiose: Louis Vuitton - che è poi il marchio più imitato del fashion system - , Gucci, Moncler, Dolce e Gabbana, Ralph Lauren, Hogan, Colmar, Napapijri, Rayban. Lui e gli altri cinque coimputati si erano creati una clientela variegata (anche di ceto medio alto) e consapevole di acquistare tarocchi. Nei loro cellulari c’erano cataloghi fotografici con ogni tipo di modello di borse, di portafogli, di occhiali e cinture, corredato dai prezzi. La merce era stoccata nell’abitazione di una quarantasettenne e venne sequestrata il giorno in cui i carabinieri eseguirono le ordinanze per spaccio, ossia ad aprile del 2015. La donna, il fratello quarantenne - che è difeso dall’avvocato Livio Grandis - e il gelese gestivano il commercio, gli altri tre reperivano e consegnavano gli abiti e gli accessori firmati e il business garantì ottimi introiti per poco meno di un anno.
LE INTERCETTAZIONI
Gli imputati ignoravano di essere sotto inchiesta per le banconote false e il traffico di stupefacenti, quindi parlavano senza remore dell’attività meno compromettente a livello di pena. Le intercettazioni ambientali e telefoniche registrarono ogni conversazione sul tema. Proprio il quarantenne, durante un breve tragitto in auto con il gelese, confidò di aver ceduto la gestione della moda alla sorella, pur continuando a seguire tutto da vicino. Chiuse le vicende giudiziarie legate a valuta e droga, ora i sei sono davanti al giudice Marco Montanari per l’ultimo filone dell’indagine. Una decina di testimoni sono stati ascoltati mercoledì pomeriggio, l’istruttoria proseguirà fino a giugno.
LE BANCONOTE FALSE
L’inchiesta era partita a settembre del 2014, quando una pattuglia dei carabinieri trovò una montagna di banconote in tagli da 50 euro, tutte perfettamente riprodotte da maestri della falsificazione e della truffa. Erano nel baule di un’auto fermata a un posto di blocco con due campani a bordo. In quel periodo gli inquirenti avevano registrato un’impennata di denunce presentate dai commercianti della zona, a cui sempre più spesso venivano rifilati soldi finti. Il pubblico ministero Rosaria Stagnaro (oggi in servizio a Milano) e i militari della compagnia di Busto Arsizio misero in fila gli elementi probatori e ad aprile del 2015 blindarono la zecca. Ci trovarono banconote di altissima manifattura, coniate con strumentazioni da 2.500 euro in tutto, acquistate in un colorificio: uno scanner, una stampante ink-jet, carta normalissima, strisce argentate e a colori. Il laboratorio era stato allestito in un garage ma la banda di falsari portava avanti anche rami aziendali, che è sempre raccomandabile per chi si butta nell’imprenditoria.
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