LA SENTENZA
Nessuna corruzione, la condanna del poliziotto è lieve
Cade il reato più grave: 2 anni all’assistente capo della polizia penitenziaria di Busto

Tante chiacchiere ma nessuna mazzetta: l’ipotesi della corruzione all’interno della casa circondariale di via per Cassano è caduta. Ieri mezzogiorno il collegio presieduto dal giudice Cristina Ceffa ha riqualificato il reato contestato all’assistente capo della polizia penitenziaria Dino Lo Presti in traffico di influenze illecite e lo ha condannato a due anni. Assolto da tutti gli altri capi di imputazione e trasmissione degli atti alla procura per lui e per Giuliano Ronga per una rivalutazione delle condotte emerse dalle intercettazioni telefoniche. Un anno per traffico di influenze illecite anche per Giovanni Marchetta e assoluzione da tutte le altre accuse per Ronga, Marchetta e Genti Picari. In aula, gremita, si sono sciolti tutti in un fortissimo abbraccio, c’era tutta la famiglia di Lo Presti ad ascoltare il verdetto e su quei volti scendevano lacrime catartiche.
ORA PALLA ALLA PROCURA
«Da oltre due anni aspettavamo questo risultato, certi che le tesi sulla corruzione non avrebbero mai retto. E così è stato», ha commentato l’avvocato Francesca Cramis, legale del poliziotto della polpen arrestato a novembre del 2019. La palla ora torna alla procura. Innanzitutto perché lo stralcio disposto dal collegio comporterà una nuova analisi delle vicende di cui al capo 3. Non è neppure da escludere che il pubblico ministero faccia ricorso in appello e comunque restano da chiudere le posizioni degli indagati per cui non si era proceduto con giudizio immediato. Ossia Monica Guanzini e Alessandro Buoni, responsabili della cooperativa La mia voce ovunque.
L’INCHIESTA
L’inchiesta partì dalle confidenze che un detenuto avrebbe affidato al comandante della polizia penitenziaria Rossella Panaro. Parlava di permessi premio, possibilità di lavorare dentro e fuori dal penitenziario, accesso all’articolo 21 e altri benefici assortiti che solo i ricchi potevano permettersi. Perché nell’area trattamentale - che in un carcere è la più importante, anzi, è fondamentale - giostrava tutto l’assistente capo Lo Presti. Questa la soffiata che mosse la macchina investigativa della guardia di finanza. Stando agli inquirenti il poliziotto individuava gli “ospiti” con le famiglie più facoltose, agganciava i parenti e in cambio di 3mila euro stilava pareri e relazioni favorevolissime da inviare al magistrato di sorveglianza, il quale poi concedeva i benefici penitenziari. «Erano tutte millanterie, il mio assistito non avrebbe mai danneggiato l’amministrazione. I soldi li ha chiesti, le stupidate le ha fatte ma non ha mai corrotto nessuno e lo abbiamo ampiamente dimostrato ascoltando i testimoni nel corso del dibattimento», commenta il difensore.
LA SOSPENSIONE
Al momento l’assistente capo è sospeso dal servizio, nei prossimi giorni si chiariranno le modalità e i tempi di un’eventuale reintegrazione.
Soddisfatti anche gli avvocati Davide Toscani (per Giuliano Ronga, che - fuori dall’aula - ha sempre proclamato la sua estraneità ai fatti) e Luigina Pingitore (per Genti Picari). «Esprimo viva soddisfazione per l’esito del processo, perché il teorema accusatorio iniziale è franato sotto i colpi di una istruttoria che non ha dimostrato nulla. Il tribunale ha riconosciuto infatti come non vi sia mai stata alcuna corruzione o istigazione tra il mio assistito e il poliziotto», osserva Toscani. «Al più ha ritenuto che vi possa essere stato quello che una volta si chiamava millantato credito ma per accertare questo diverso reato, occorrerà un nuovo processo che dovrà cominciare da zero». Un po’ meno soddisfatto l’avvocato Vincenzo Cotroneo, difensore di Giovanni Marchetta. «Siamo vittime di un sistema che non abbiamo mai accettato. Valuteremo le motivazioni della sentenza e poi decideremo sul ricorso in appello».
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