ABUSIVI
Busto, le giornate degli invisibili
Niente immigrati, al Borri vivono due ragazzi di Busto

La sensazione è quella di disturbare a casa d’altri. Anche se tutto intorno ci sono macerie, mattoni, tubi di metallo arrugginiti e muri che sembrano resistere ancora per poco alle intemperie.
Accedendo all’ex calzaturificio Borri, varcata la rete che delimita il parcheggio che si affaccia su via generale Biancardi, nel primo locale di destra ci si imbatte nel giaciglio di una coppia di giovani. Niente immigrati clandestini, niente spacciatori (almeno di giorno). Qui abitano due ragazzi di Busto Arsizio, 22 anni lui e 20 lei.
Antonio, in piedi sulla soglia, guarda stupito giornalista e fotografo. Non è spaventato, ma intuisce subito che questa visita probabilmente lo costringerà presto a fare i bagagli e a cambiare indirizzo. Abita qui da un paio di mesi. Carolyn viene a fargli visita spesso e, come martedì notte, si ferma a dormire.
Occupazioni saltuarie
Entrambi hanno alle spalle piccoli precedenti. E storie famigliari non proprio felici. I litigi con la madre sono una costante per Carolyn, mentre Antonio, con la sua, ha tagliato i ponti da un pezzo. «Lavoravo alla Montedison, ora Perstorp, mi piaceva e guadagnavo bene. Poi è finita, da allora trovo occupazioni saltuarie nell’assemblaggio - racconta - Pagare un affitto è impossibile senza troppi soldi in tasca, così resto qui. Ho anche dato una pulita: quando sono arrivato in giro c’era di tutto». In effetti, un certo ordine, in qualche modo lo si nota. I sacchi di rifiuti sono negli angoli del magazzino. All’esterno ci sono quelli colmi dei resti di confezioni acquistate alla vicina Coop e, soprattutto, di bottiglie e lattine di alcolici e birra.
La notte fa freddo
Il letto è nato avvicinando alcuni bancali su cui sono stese coperte di lana. «La notte fa freddo, ma ci siamo attrezzati bene - rivela Carolyn, che talvolta lavora in nero per scaricare ed etichettare merci - Molto meglio della cantina in cui ho vissuto per otto mesi con un ragazzo di 28 anni, che poi ho lasciato perché non combinava niente. Avevamo anche Tv e Play Station, ma qui, anche se non c’è corrente, è diverso».
Già, se non piove si può stare seduti su panche o tavoli, all’aperto. Si prende il sole. Poi si va a fare un po’ di spesa nel vicino supermercato. I ragazzi negano che l’ex Borri sia zona di spaccio. Anche se di sera notano qualche ombra nell’altro edificio, quello ancora più diroccato, quello in cui si trovano i bagni su cui sono crollati cumuli di mattoni.
Piuttosto qui si beve, la sera. E parecchio a guardare le bottiglie rimaste vuote.
La grigliata e i carabinieri
Quindici giorni fa sono venuti i carabinieri. A una grigliata organizzata per quindici amici sulla grata appoggiata a cumuli di mattoni, sono arrivati trenta ospiti. «Sì, un po’ di casino lo abbiamo fatto», sorride Antonio. I militari, probabilmente chiamati dal vicinato che lamenta presenze non gradite, hanno chiesto di abbassare il volume di musica e voci.
Nessuno sgombero in quel momento, del resto il sindaco Emanuele Antonelli ha annunciato che presto farà murare tutti gli accessi, qui e in vicolo Landriani. Alla notizia i ragazzi appaiono estremamente delusi: «Dove andremo? Qui non rompiamo le scatole a nessuno. Magari facciamo degli squat, piccoli rave party, con casse per la musica e torce per illuminare, ma niente di così eclatante».
Carolyn appare interessata ai progetti futuri che le raccontiamo: un auditorium, sale prova, social housing, una portineria di quartiere. «Una bella idea, immagino che quegli spazi saranno pronti quando cresceranno i miei figli - ironizza - Ma cosa fabbricavano qui? Ah sì, le scarpe. Già, la città del tessile, eccetera eccetera. Peccato che adesso tutto cada a pezzi. L’edificio non era mica male».
«Arriva il proprietario»
I ragazzi chiamano «proprietario» il rappresentante della ditta Alfano che più di una volta si è fatto avanti verificando che tutto fosse a posto. Sgranano gli occhi scoprendo che padrone di casa sia invece il Comune, ora pronto a evitare altre incursioni abusive.
«L’unico edificio murato è quello dietro la stazione - dicono - Da quelle parti andiamo per ricaricare il telefono, altrimenti non sapremmo come fare, anche per avere luce la sera».
Antonio ci accompagna nell’altro edificio: il soffitto è puntellato, ci sono voragini evidenti e lui invita a stare attenti a camminare sul terrazzo soprastante. Meglio passare vicino ai muri portanti. Qui tutto appare avvolto dal mistero, lui dice che ci sono «i mostri», ma di fatto bazzica ogni spazio, ispeziona persino i seminterrati, cosa alquanto pericolosa quando sei un invisibile e nessuno ti verrebbe a cercare lì.
Fa paura l’idea che qualcuno si arrampichi sulla gru, collocata alle spalle della Coop. Servirà quando finalmente si saprà che farne di questa vasta area, dove ancora campeggia una vecchia ciminiera. I segni del passato glorioso sono pochi: il logo sulla facciata, le scale in ferro battuto prive ormai di molti gradini, le attrezzature in metallo che pendono dai soffitti. Adesso le pareti sono piene di murales e scritte. A terra ci si imbatte in qualche scatola di tonno. L’architettura industriale poteva essere valorizzata per visite dedicate agli appassionati, ma si metterebbe a rischio l’incolumità di tutti.
Tutto in zaini e borse
Antonio tiene alle sue cose. Piega coperte e sistema tutto in borse e zaini. Ha capito che dovrà trovarsi presto un’altra casa e che la bicicletta, legata con un lucchetto a una finestra, insieme con quella di un amico, servirà ad andarsene un po’ lontano. Pensare che la nostra visita finisca per scatenare un trasloco mette tristezza. Ma tra pochi giorni arriveranno gli operai pronti a murare gli accessi. Lo sfratto era comunque vicino.
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