AL PROCESSO
Busto, lo zio e le «Domande suggestive»
L’accusa di molestie sulla nipote è caduta perchè le risposte erano state condizionate dai quesiti posti alla bambina

L’ennesimo caso di violenze che si sgonfia è quello del cinese accusato di molestie sessuali sulla nipote undicenne: l’uomo lo scorso 2 luglio è stato assolto perché il fatto non sussiste. Una decisione sintonica con le convinzioni dell’avvocato Gianluca Fontana e che è ben argomentata dalle motivazioni scritte dal giudice estensore del collegio, Marco Montanari (a latere con Daniela Frattini del presidente Rossella Ferrazzi).
«La prova della responsabilità dell’imputato si fonda solo sulle dichiarazioni della minore, perché non hanno trovato alcun riscontro», si legge.
In effetti nel corso del dibattimento nessuno dei testimoni ha raccontato di aver assistito ad atteggiamenti ambigui e confidenziali. Gli esami medici e ginecologici non avevano evidenziato elementi a sostegno della accusa, sui telefoni sequestrati allo zio e all’allora undicenne non vennero trovati scambi di materiale pornografico, fatto salvo per un video che la ragazzina aveva auto-prodotto (e mai inviato a nessuno) che secondo il giudice «può sicuramente dimostrare una inquietante sessualizzazione precoce della bambina, ma che non è ricollegabile con ragionevole certezza a eventuali richieste dello zio».
Le dichiarazioni dei genitori non sono risultate sufficienti a sostenere quelle dell’undicenne, anzi, semmai delineano che entrambi «potessero nutrire risentimento nei confronti dell’imputato, visto che aveva cercato di indurre al tradimento la madre della bambina. Sono circostanze idonee a indebolire la già poco consistente forza probatoria delle narrazioni della presunta vittima». Anche perché, nel corso dell’incidente probatorio, la ragazzina aveva dimostrato grosse difficoltà nell’esposizione degli episodi, in un continuo di «sì, non lo so, non ricordo».
A parere del collegio giudicante, gli operanti in fase di indagine non avrebbero rispettato alcuni cardini della Carta di Noto. Documento che indica la necessità «di evitare il ricorso a domande suggestive e a comportamenti idonei a compromettere la spontaneità e la genuinità delle risposte». Nel caso di specie, «l’interlocutore, dopo aver cercato invano di lasciare spazio alla minore, ha trasformato l’esame in un susseguirsi di domande assolutamente suggestive, alle quali la minore ha potuto rispondere solo con semplici «sì» e «no»». E Montanari conclude: «Pressoché tutto quanto emerso nell’incidente probatorio è stato il frutto di risposte monosillabiche a domande suggestive poste dall’interrogante nel - sia chiaro - difficilissimo tentativo di superare imbarazzi e silenzi della minore».
L’indagine partì dalla denuncia sporta dal padre della bambina, titolare insieme alla moglie di un bar della zona. La presentò a giugno del 2017 dopo un’inquietante scoperta: sul telefono della figlia era arrivato uno strano messaggio dello zio, marito di sua sorella. «Dove sei adesso?» le chiedeva. Il papà volle spiegazioni dalla bambina, la quale ebbe una reazione di chiusura mista a imbarazzo. I genitori la portarono in ospedale, temendo che l’uomo potesse aver abusato fisicamente della undicenne. L’esito fu negativo ma la ragazzina decise di rivelare ciò che lo zio le avrebbe fatto da anni. Ma che a quanto pare era frutto di fantasia. La carta di Noto rammenta che «i bambini sono sempre da considerarsi testimoni fragili perché educati a non contraddire gli adulti e non sempre consapevoli della conseguenze delle loro dichiarazioni. Possono mostrarsi compiacenti e suggestionabili». Ed elenca le linee guida che le figure professionali devono seguire per assumere la deposizione dei minori.
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