IL CASO
Boza invasa dalle tartarughe
Tre specie diverse, abbandonate dai padroni, minacciano l’oasi

Via una, ne compare subito un’altra. La discarica scoperta a metà febbraio appena fuori dall’oasi Boza è stata eliminata. Via gli scarti edili che insozzavano il verde insieme a ombrelli, innaffiatoi e ogni sorta di rifiuto lungo la scarpata a ridosso dell’antenna per la telefonia. Ma a pochi metri di distanza da lì, questa volta in piena luce, ecco già spuntare il frutto di un nuovo episodio di abbandono proprio accanto alle piantine messe a dimora qualche anno fa per ampliare il patrimonio arboreo dell’area protetta: c’era il mobilio di un intero tinello, lunedì 20 luglio, in via Salvo D’Acquisto, dal tavolo ai mobiletti, specchi compresi.
Intanto all’interno del perimetro dell’oasi naturalistica non c’è spazzatura, ma ci sono - e in un numero fuor di misura - tartarughe che hanno trovato casa alla Boza dopo che i proprietari le hanno abbandonate nello stagno.
In via Meucci è facile avvistare lepri, rane in quantità, libellule di ogni colore e pesci di taglia differente. Per non parlare di fiori colorati e piante acquatiche. La natura è nel pieno del suo splendore in queste settimane. Ma non meno difficile è contare le tartarughe. Legambiente ne ha osservate tre specie diverse, ovvero quella con strisce rosse sul capo, un’altra marcata di giallo e infine una terza tipologia. Non sono nei guai con la giustizia, come la loro «cugina» di Verbania, ma «Sono numerosissime e non sono autoctone», sottolinea il neopresidente del circolo cittadino del Cigno verde, Mauro Labita. Ovvero, non fanno parte della flora originaria della zona. Dunque rappresentano un possibile fattore di disequilibrio nell’habitat naturale della riserva di Soiano. «Non dovrebbero esserci - ricorda Labita - Qualcuno ci contatta per chiedere se può rilasciare le proprie tartarughe alla Boza e noi rispondiamo di no, ma non tutti hanno questa attenzione».
Risultato: prima di riuscire a vedere un esemplare di anatra, ieri mattina, quindici tartarughe di dimensioni differenti si erano già mostrate e lasciate fotografare mentre prendevano il sole su un paio di rami finiti per metà a mollo nello stagno. «Sono animali letteralmente buttati nella Boza e sono diventati un problema», evidenzia il numero uno del circolo
«Se uno arriva con i biscotti, si avvicinano per mangiare. Ma anche questo non sarebbe da fare, i cittadini dovrebbero essere informati», rimarca il responsabile del gruppo ambientalista, che proprio dall’oasi ricavata al posto di una vecchia cava d’argilla ha cominciato un’esperienza nel mondo ambientalista che ormai dura da due decenni.
Nella sua semplicità, la riserva naturale cassanese rappresenta un fiore all’occhiello del territorio. I lavori di sistemazione dei sentieri e degli stagni compiuti grazie al finanziamento arrivato da parte di Pedemontana quale compensazione per l’impatto dell’autostrada sull’ambiente hanno cambiato volto alla zona.
E l’apprezzamento dei cassanesi non è mai venuto a mancare. Ogni giorno genitori e nonni accompagnano sui vialetti figli e nipoti cui indicare gli animali e insegnare a godere della bellezza della natura: basta sedersi un attimo per incontrarli. Il recupero della Boza e la sua valorizzazione dopo anni di abbandono quasi completo, pochi mesi fa, era diventato persino oggetto di studio da parte di un gruppo di visitatori in arrivo dalla Tanzania. Tartarughe a parte.
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