MALTRATTAMENTI
«Nego le accuse, me le sono inventate»
Il giudice assolve il compagno e manda gli atti al pm: la vittima lo ha calunniato

Era un’ipotesi ad alta probabilità, ora è una certezza: la ventunenne che in pieno Covid 19 fece arrestare il compagno per maltrattamenti dovrà chiarirsi davanti alla procura che procederà per calunnia. Lo ha deciso il gup Piera Bossi che nei giorni scorsi ha depositato la sentenza di assoluzione dell’imputato, un cuoco di 28 anni più anziano della fidanzata.
L’arresto dell’uomo risale allo scorso 16 aprile: nonostante la clausura imposta dalla pandemia molti sono i testimoni dell’aggressione in corso Matteotti, all’incrocio con via Costalunga: l’imputato aveva mollato un ceffone così forte alla ragazza da farla cadere a terra. La ventunenne cercava di scappare ma lui la rincorreva. Vennero allertati i carabinieri e la polizia locale e, sulla base degli inquietanti racconti della presunta vittima, l’imputato venne portato dietro le sbarre. «Non voglio più vederlo, ho paura di lui, finalmente oggi sono riuscita a uscire di casa, non voglio più entrare lì», dichiarò la ventunenne che due settimane prima aveva scoperto di essere incinta. Lui si difese subito davanti al gip Nicoletta Guerrero, ridimensionando la portata dell’episodio e negando le violenze domestiche di cui era accusato e venne collocato ai domiciliari. Pochi giorni dopo, tornata a casa della madre in Emilia, la ragazza ci ripensò. A quanto pare tentò di togliersi la vita perché oppressa dal senso di colpa nei confronti dell’ex convivente, poi inviò una lettera al giudice con cui ritrattava gli addebiti e negava i pregressi maltrattamenti. «Voglio tornare con lui», scrisse. A luglio, a processo ormai iniziato, ritirò la querela: «I nostri erano litigi normali, ho esagerato, ciò che mi ha portata a inventare gli episodi che ora nego è dovuto in parte alla depressione per la gravidanza». Nel frattempo si era insediata nuovamente a casa dell’uomo, come se nulla fosse mai accaduto. «I due si scontrano ma in termini di reciprocità», spiega il giudice. Non emerge insomma «lo squilibrio di rapporti che deve caratterizzare i maltrattamenti». E soprattutto bisogna dare conto che «la condotta della convivente dopo l’arresto appare palesemente in contrasto con quella di una persona sottoposta a maltrattamenti. Perché se no, una volta liberata dal proprio aguzzino, rifuggirebbe da ogni rapporto con lui».
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