PROCESSO AGRATI
«Non ho ucciso le mie sorelle»
In aula sentiti i primi testi. Molto materiale perso. E l’imputato urla la sua innocenza

«Io sono innocente, io non ho ammazzato nessuno», si è sfogato Giuseppe Agrati ieri mattina rivolgendosi alla Prealpina, in una breve pausa del processo davanti alla corte d’assise presieduta da Daniela Frattini (a latere Marco Montanari e i giudici popolari).
La polizia penitenziaria l’ha subito richiamato all’ordine ma i mugugni e i borbottii del settantenne accusato di aver ucciso le sorelle Carla e Maria sono continuati per tutta la giornata. La parola è andata ai primi testi del procuratore generale Vittoria Mazza. La premessa non è stata delle più rasserenanti: «Purtroppo abbiamo avuto alcuni problemi informatici e molto materiale si è perso», ha spiegato un operante della squadra rilievi del nucleo investigativo di Monza.
Si riferiva soprattutto ai rilievi fotografici, ma pur non avendoli a portata di mano lui, come gli altri testimoni ascoltati, hanno tracciato un quadro chiaro della scena su cui intervennero nella notte tra il 13 e il 14 aprile del 2015: l’incendio scoppiato in via Roma, nella casa in cui Giuseppe viveva con Carla e in cui Maria trascorreva tutti i weekend non aveva i caratteri dell’omogeneità.
O meglio «non c’è stato un andamento lineare dell’incendio, tra un piano e l’altro, bensì più focolai perché alcuni elementi dell’ambiente non erano stati intaccati e in base all’esperienza di tanti anni di servizio ho ritenuto che non avesse senso una combustione discontinua».
Secondo le dichiarazioni dei pompieri, Agrati non sarebbe stato solerte nell’avvertire che le sorelle fossero rimaste all’interno dell’abitazione («e ce lo dici adesso, esclamai») e che li avrebbe diretti verso un lato dello stabile in cui l’emergenza era meno pressante. I testimoni hanno dovuto rispondere anche alle domande dall’avvocato Giuseppe Lauria, codifensore del settantenne con Desiré Pagani. «Abbiamo fatto emergere un dato importante: il piano superiore dell’abitazione di via Roma era pieno di ciarpame, giornali, libri, vestiti. Materiale che potrebbe aver accelerato il fuoco, quindi si tratterebbe di più focolai».
Come è noto la procura di Busto Arsizio al termine degli accertamenti si determinò per l’archiviazione. Ma prima ancora che il giudice fissasse la camera di consiglio la procura generale avocò l’indagine e dopo quattro anni il gip Piera Bossi emise l’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
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