IN VETTA A UN 8.000
Da solo e senza ossigeno, varesino conquista il K2
L’impresa di Tommaso Lamantia: «Sogno che si avvera». L’alpinista ha partecipato alla spedizione del Cai di Biella 70 anni dopo

Nei giorni delle celebrazioni per il settantesimo anniversario della conquista del K2, c’è chi quella sfida epica con la montagna l’ha ripetuta, quasi in silenzio, lontano dai riflettori. Si tratta dell’alpinista varesino Tommaso Sebastiano Lamantia, classe 1982, residente a Luino, accademico del Cai e volontario della Stazione di Varese del Soccorso alpino. Partito il 10 giugno scorso con la spedizione organizzata dal Cai di Biella, domenica scorsa ha raggiunto da solo, senza sherpa e senza ossigeno supplementare la seconda vetta più alta del mondo, a 8.611 metri di quota sul livello del mare, al confine tra Pakistan e Cina.
FORZA DI VOLONTÀ
Dopo aver dormito al Campo 3, Lamantia è partito alle 2 di notte insieme a un altro alpinista della spedizione, il giovane Matteo Sella, classe 1996, membro dell’Eagle Team del Cai, che però si è fermato a circa 8.200 metri: a quel punto il varesino ha proseguito in solitaria raggiungendo la cima.
Impossibile riuscire a parlare con lui - le comunicazioni sono ridotte a pochi messaggi inviati con il satellitare - ma a raccontare la fatica e l’emozione è sua moglie Stefania Modica: «Mi ha detto che ha realizzato il sogno di una vita - spiega -. Ha raggiunto la vetta con una grande forza di volontà, raccogliendo tutte le risorse che aveva, consapevole del fatto che l’obiettivo non era solo raggiungere la cima bensì tornare indietro sano e salvo».
E una volta rientrato al campo base non c’è stato molto tempo per festeggiare: Tommaso si è subito messo a disposizione della squadra di soccorso partita per andare a recuperare altri due alpinisti in difficoltà sulla stessa cima.
Lamantia ha una grande esperienza in montagna, anche all’estero, ma affrontare un 8mila è altra cosa e pure l’allenamento prima della partenza ha richiesto una cura particolare: nell’ultimo mese ha dormito dentro una tenda ipobarica e ha macinato tantissimo dislivello sulle vette “di casa”, con salite a piedi e discese in parapendio. Quando il meteo lo ha permesso è andato spesso sia sul Monte Rosa sia sul Monte Bianco, dormendo in quota.
L‘ATTESA A CASA
La sfida con la montagna l’ha vinta lui, ma anche per chi è rimasto a casa non è stata certo una passeggiata: «Non lo auguro a nessuno - commenta con un sorriso Stefania, che in tutte queste settimane è riuscita a parlare con lui al telefono soltanto un paio di volte -: perché uno può essere anche il più bravo alpinista del mondo, ma lassù il meteo può diventare davvero pericoloso. Sono state tante ore di apprensione, poi finalmente è arrivato il messaggio dal telefono satellitare: tutto è andato bene». Qui un sospiro di sollievo, là una pagina di storia dell’alpinismo scritta da un varesino.
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