CHI È L’UOMO ARRESTATO
Da superteste a killer
La vita contrassegnata da alcol e droga di Alberto Biggiogero, quel padre sempre pronto ad aiutarlo. E l’amicizia con la famiglia Uva: «Siamo sconvolti». Il difensore chiede riserbo e comprensione

Alberto Biggiogero, che oggi ha 42 anni, diventa un personaggio pubblico nel giugno del 2008, quando un sabato sera si presenta nella redazione di Varese della Prealpina e dice al redattore “di guardia” che vuole denunciare quello che poche ore prima sarebbe successo nella caserma dei carabinieri di via Saffi: «Hanno massacrato un ragazzo». È l’inizio del caso Uva, il caso della morte di Giuseppe Uva, 43 anni, deceduto all’ospedale di Circolo dopo essere stato trattenuto per un piccolo atto vandalico appunto nella caserma di via Saffi. Un caso che dal punto di vista giudiziario, dopo anni e anni di polemiche anche feroci, finora non ha portato alla condanna dei due carabinieri e dei sei poliziotti indicati da Biggiogero come responsabili della morte di Uva quasi nove anni fa (la Corte d’Assise li ha assolti tutti), anche se a settembre ci sarà il processo d’appello.
Biggiogero diventa dunque per la famiglia Uva e per i suoi legali il “supertestimone” ignorato dalla Procura, che acquisisce un suo esposto sulla vicenda ma a lungo evita di interrogarlo, anche se quella sera era insieme a Giuseppe in strada e con lui viene portato in caserma, dove sente l’amico gridare (ma Alberto non vede nulla perché è in sala d’attesa, dove verrà a prenderlo, per riportarlo a casa, il padre Ferruccio che ieri sera ha ucciso a coltellate). La Procura lo ritiene infatti del tutto inattendibile, così come i difensori di carabinieri e poliziotti, per i suoi problemi di tossicodipendenza e per una vita segnata anche dall’abuso di alcol.
Quando l’onda mediatica del caso Uva sale, Alberto non si tira indietro: va in tv, si fa intervistare, continua a raccontare la sua “verità” anche se a volte l’atteggiamento è un po’ stralunato. Trova anche un lavoro in una serie tv di Maccio Capatonda, “Mario”, dove interpreta un tecnico della sala regia che non dice una parola e lancia solo sguardi attoniti.
Negli anni finisce in ogni caso per diventare quasi un habitué del tribunale di Varese e in occasione dell’interrogatorio in Procura, che alla fine viene fatto, e di quello in aula, al processo a carabinieri e poliziotti davanti alla Corte d’Assise, si fa ricordare per alcuni momenti in cui le sue risposte diventano, senza che lui lo voglia, esempi di umorismo surreale. Come quando chiede al pm Agostino Abate «un caffè doppio» e gli viene ricordato che non è al bar ma appunto sotto interrogatorio. O come quando precisa che Lucia Uva aveva sì preso a martellate in testa il fratello Giuseppe «ma leggermente».
Un violento? Chi ha avuto modo di incontrarlo in questi anni tra un’udienza e l’altra e alle tante manifestazioni con cui i parenti di Uva hanno chiesto verità sulla sua morte, non può certo dirlo. Alberto è stato infatti sempre mite e gentilissimo. Ma è innegabile anche la sua condizioni di dipendenza dagli stupefacenti e dall’alcol, così come sono sempre stati noti problemi psichiatrici per i quali è stato a lungo seguito da diverse strutture sanitarie pubbliche.
«Siamo profondamente addolorati e increduli». Lucia Uva e il suo legale, l’avvocato Fabio Ambrosetti, hanno da molti anni un legame con Alberto Biggiogero che va al di là della comune battaglia giudiziaria e mediatica per ottenere verità sulla morte di Giuseppe Uva, e anche al di là della semplice amicizia. Proprio a causa delle sue fragilità, per loro Alberto, nel corso degli anni, è diventato quasi uno di famiglia, non solo il supertestimone di una vicenda di rilevanza nazionale e tutt’altro che chiusa, ma anche una persona da aiutare e proteggere nei limiti delle loro possibilità.
«Siamo sconvolti per quello che è successo e proviamo un grande dolore - ha detto ieri sera, dopo aver appreso la notizia dell’assassinio a coltellate del padre Ferruccio da parte di Alberto, l’avvocato Ambrosetti, anche a nome di Lucia Uva -. E non riusciamo a credere che possa essere successa una cosa del genere. Alberto non era mai stato violento con i suoi genitori e per quel che sappiamo nell’ultimo periodo era riuscito a disintossicarsi, stava cercando davvero di lasciarsi alle spalle i problemi con l’alcol e con la droga che aveva avuto in passato. Davvero una tragedia del genere è per noi inspiegabile». Ma enorme dolore c’è anche per papà Ferruccio, morto ieri sera nel soggiorno di casa a 78 anni: «Lo conoscevamo bene, perché frequentare Alberto voleva dire frequentare anche suo padre: un’ottima persona che dedicava gran parte della sua esistenza a quel figlio con tanti problemi».
Giovedì mattina si è registrata anche la presa di posizione ufficiale della difesa di Biggiogero, l'avvocato Stefano Bruno, attraverso un comunicato stampa: «Quanto accaduto ieri non è altro che la conseguenza di un disagio acuitosi nel corso degli ultimi tempi e che fa assumere - in qualche modo - ad Alberto Biggiogero anche la veste di ”vittima”. E' indubbiamente una tragedia: ma proprio per tale ragione essa va trattata con doveroso riserbo e con la necessaria comprensione. Esprimo la mia massima fiducia negli Inquirenti che hanno mostrato una sensibilità ed un rispetto che in precedenza a Biggiogero non erano stati riservati. La Difesa è certa che in tempi assai rapidi verrà fatta piena luce sulle reali condizioni in cui è maturata la vicenda».
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