LA SENTENZA
Dare del “bimbominkia” è reato
L’espressione usata in uno scontro verbale su Facebook. La Cassazione: diffamazione aggravata. Ecco la vicenda

Quante volte l’abbiamo sentito dire o letto sui Social: “bimbominkia”. Che non sia un complimento è ovvio, ma ora la linea è dura contro chi lo usa: è un reato. Lo ha stabilito la Cassazione - sezione quinta - nel giudizio su una querelle fra l’esponente di un partito animalista e una persona vicina a un ex rappresentante di un’istituzione (Regione Trentino). Il primo aveva querelato la seconda che sulla propria pagina Facebook, accessibile a circa 2.000 utenti, lo aveva appunto contestato dandogli del “bimbominkia”.
I GRADI DI GIUDIZIO
In primo grado, era arrivata la sentenza di condanna: diffamazione aggravata. In appello, stesso esito. Ma la persona chiamata in giudizio non si è arresa, arrivando fino alla Suprema Corte nella convinzione che dare del “bimbomikia” rappresenti un legittimo esercizio di critica, con sottinteso che poi l’espressione non è così grave, volgare sì ma non da stracciarsi le vesti e ricorrere alla carta bollata.
Il caso dunque è stato esaminato dagli Ermellini che hanno confermato l’interpretazione nei due precedenti gradi di giudizio: è reato sì e di diffamazione aggravata.
DIFFUSO? LO USÒ ANCHE GRILLO
L’uso di “bimbominkia”, al plurale, è da attribuire anche a personaggi noti, come Beppe Grillo che si riferì in questo modo, anni fa, ad alcuni protagonisti della politica. Questo per dire che la diffusione è vasta. Ma non tollerabile a giudizio degli Ermellini.
GLI ERMELLINI: COSÌ È DECISO
Ecco il testo della sentenza della Cassazione, reso pubblico nei giorni scorsi. «Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trento ha integralmente confermato la sentenza del 16 aprile 2019 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento che ha affermato la penale responsabilità di C.M. per il reato di diffamazione aggravata continuata commesso ai danni di E.R. e, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, la ha condannata alla pena di giustizia».
«UN SALUTO AI BIMBOMINKIONI»
«In particolare, alla C. si contesta di avere, quale titolare del profilo Facebook C.M. , con più azioni offeso la reputazione del R. , pubblicando all’interno del gruppo =(omissis), a lui dedicato e di cui la predetta era coamministratrice, dopo le reazioni del R. all’uccisione dell’orsa Daniza in Trentino, le seguenti espressioni offensive a lui dirette: "dagli al =bimbominkia", "Si chiama =bimbominkia", "Un saluto dai bimbominkioni Animalardosi" e pubblicando una tazza con il logo "=(omissis) " e quindi appellandolo pubblicamente come "bimbominkia"».
DIRITTO DI CRITICA?
«Avverso detta sentenza ha proposto ricorso C.M. , a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 51 c.p., sostenendo che ricorrerebbe la scriminante dell’esercizio del diritto di critica. L’espressione utilizzata, "bimbominkia", non sarebbe particolarmente offensiva».
«Inoltre, la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso che potesse ricorrere detta scriminante, affermando che il R. non era un personaggio politico di statura nazionale o anche semplicemente locale. In realtà, egli era un personaggio noto alle cronache nazionali e segretario del Partito animalista Europeo».
«Ricorrevano quindi gli estremi dell’esercizio del diritto di critica politica, avendo l’imputata inteso divulgare il proprio giudizio sul R. che a sua volta, in qualità di segretario di detto partito, aveva espresso frasi oltraggiose in relazione alla morte di D.M. , Presidente del Consiglio regionale della Regione (omissis) e che traevano origine proprio dalla passione del M. per la caccia».
«LA PROVOCAZIONE»
«Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 599 c.p., sostenendo che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto insussistente la causa di non punibilità della provocazione».
«La Corte territoriale, pur dando atto che il R. era stato definitivamente condannato per avere offeso la reputazione di D.M. , deceduto durante una battuta di caccia, aveva evidenziato che le frasi offensive, pubblicate sul socia/ network Facebook e ribadite in un’intervista nella trasmissione (omissis) , in quel caso si collocavano in un contesto ben diverso, quello della gestione dell’orsa D..»
«In realtà, sostiene la ricorrente, la Corte di appello aveva travisato i fatti di causa che erano da ricondurre non alla questione dell’orsa D., ma alla morte di D.M. , avvenuta in data (omissis) a causa di un attacco cardiaco in occasione di una battuta di caccia. Nei giorni immediatamente successivi al decesso, il R. aveva pronunciato le frasi offensive per le quali era stato poi condannato. La condotta della C. era la risposta alle frasi offensive rivolte dal R. al M. , del quale la imputata era stata amica. L’immediatezza della reazione alla provocazione andava intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle modalità della reazione, non essendo necessaria la contemporaneità della reazione alla provocazione, essendo sufficiente che lo stato d’ira determinato dalla provocazione fosse ancora in atto al momento della reazione».
«Anche L.C. aveva appellato il R. con l’epiteto di "bimbominkia", ma era stato assolto dal Tribunale di Rovereto, che aveva affermato che la creazione del gruppo Facebook e tale termine erano collegati alle frasi rivolte dal R. al M. ed aveva applicato la scriminante della provocazione; le due condotte, quella del L. e quella dell’odierna ricorrente, non potevano essere giudicate in modo diverso».
«Col terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’articolo 131-bis c.p.. La Corte di appello ha escluso la possibilità di applicare la causa di non punibilità prevista dalla citata disposizione, in quanto la condotta della C. era stata reiterata, mentre in realtà la condotta dell'imputata non era caratterizzata da serialità o progressione criminosa e non era caratterizzata da una particolare intensità del dolo»».
«TRASCENDE IN SCHERNO E DERISIONE»
Ecco il giudizio sui motivi del ricorso.
«Il primo motivo è inammissibile. La Corte di appello ha escluso che la condotta della ricorrente fosse scriminata dal diritto di critica sulla base di due distinte ed autonome rationes decidendi. Essa ha innanzitutto escluso che E.R. fosse un personaggio politico di rilievo nazionale o anche solo locale. La ricorrente, affermando che tale conclusione non è esatta, introduce una questione di merito che è inammissibile in questa sede di legittimità, atteso che la censura della ricorrente è sostanzialmente finalizzata ad un riesame del merito del processo».
In secondo luogo, la Corte di appello ha osservato che in ogni caso anche il diritto di critica deve essere esercitato entro determinati limiti, tra i quali vi è quello della continenza, non potendo la critica trascendere nello scherno e nella derisione».
«Nel caso di specie, del tutto correttamente e in piena aderenza ai principi anche recentemente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, la Corte territoriale ha osservato che detto limite non è stato rispettato, atteso che appellare il R. quale "bimbominkia" nei messaggi rivolti agli oltre duemila appartenenti al gruppo Facebook ha significato additarlo come mentalmente ipodotato».
«Analoghe considerazioni valgono a rendere inammissibile il secondo motivo di ricorso. La Corte di appello ha escluso che ricorra l’ipotesi della provocazione ai fini di cui all’articolo 599 c.p., affermando che non vi è collegamento tra le frasi rivolte dal R. al M. e quelle della odierna ricorrente dirette a deridere il R. innanzi agli iscritti al gruppo Facebook. La C. , affermando che la Corte territoriale ha travisato il fatto e che in realtà sussiste un collegamento tra le due vicende, anche sotto il profilo cronologico, mira anche in questo caso a sollecitare valutazioni di merito inammissibili in questa sede».
«Inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso, atteso che la Corte territoriale ha posto a fondamento del rigetto del motivo di appello volto all’applicazione della causa di non punibilità prevista dalla citata disposizione due distinte ed autonome rationes decidendi, costituite dalla abitualità della condotta, avendo la C. reiteratamente deriso il R. con detti messaggi, e dalla non lieve offensività della condotta, in quanto i messaggi erano diretti a ben 2.297 iscritti al gruppo Facebook. La ricorrente attacca solo la prima ratio, omettendo di confrontarsi con l'altra. È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per Cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti, atteso che anche laddove venisse meno una di esse, la decisione verrebbe ad essere sorretta dall’altra».
CONDANNATA ALLE SPESE
La Cassazione conclude così: «All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000».
Su un altro pronunciamento della Cassazione, relativo sempre a una lite su Facebook, con esito opposto, il commento dagli avvocati varesini.
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