OMICIDIO BOSSI
Delitto di Cairate, quei 45 minuti fatali
Domani in carcere gli interrogatori di Douglas e Michele

C’è una fascia temporale di circa tre quarti d’ora sulla quale fare luce. I quarantacinque minuti in cui Douglas Carolo e Michele Caglioni intrattennero Andrea Bossi prima di ucciderlo. L’aggravante della premeditazione, che per ora non è contestata, potrebbe prendere forma o al contrario sfumare una volta compreso cosa accadde nell’appartamento di via Mascheroni. Gli inquirenti un’idea se la sono già fatta, ma attendono l’interrogatorio di domani davanti al gip Anna Giorgetti prima di sbilanciarsi. I due ragazzi - assistiti dagli avvocati Vincenzo Sparaco, Giammatteo Rona e Luigi Ferruccio Servi - nel caso di ammissione potrebbero infatti decidere di raccontare la loro versione dei fatti che rischia di tradursi in un rimpallo di responsabilità.
Qualcosa uno dei due l’avrebbe già spiegata e lo si deduce da un’ovvietà: tutto ciò che i carabinieri hanno sequestrato è stato rinvenuto mercoledì dopo gli arresti. Un mese di ricerche nei campi adiacenti alla palazzina non avevano dato esiti, ora invece sulla scena del delitto compare un posacenere di 70 centimetri che sarebbe stato sferrato sulla nuca di Andrea per stordirlo. Contusioni evidenti alla testa non erano emerse durante l’autopsia, anzi ora al medico legale verrà chiesto un ulteriore approfondimento tanatologico. Sta di fatto che l’oggetto è stato recuperato insieme con un bicchiere, i brandelli di cellulare della vittima, le chiavi di casa vecchie e nuove, nascoste sotto un sasso.
LE INDAGINI
Intanto gli investigatori coordinati dal pubblico ministero Francesca Parola stanno correlando le informazioni avute dalle persone informate sui fatti: a quanto pare c’è chi aveva intuito cosa e chi celasse il delitto di Andrea. Sono tante le tesi che circolano tra Samarate e Cassano Magnago circa il movente, molte provengono da coetanei degli indagati e quindi, prima di accreditarle, serve la tara tra nozioni fondate e fantasie tardo-adolescenziali. Pare che Andrea e Douglas avessero un rapporto intimo e non viene smentita la circostanza per cui il ventenne di origini brasiliane, sempre affamato di soldi, non avesse remore né preferenze di genere nel concedersi dietro compenso. Saranno i cellulari degli indagati a fornire nuove tesserine del mosaico che narra della notte tra il 26 e il 27 gennaio.
IL MISTERO DEL TERZO UOMO
Un altro aspetto da scandagliare è la complicità di un terzo soggetto, qualcuno che potrebbe aver accompagnato Douglas e Michele in via Mascheroni o che potrebbe aver dato loro un passaggio al ritorno. Del resto gli inquirenti hanno respinto qualsiasi domanda sul veicolo usato dai ragazzi per raggiungere Bossi. Ed è inverosimile che non ne abbiano idea, dato che le telecamere avrebbero immortalato le tappe salienti dei loro spostamenti. C’è inoltre un interrogativo di non secondaria importanza: chi fece cosa? Chi dei due avrebbe colpito il ventiseienne con il portacenere e chi gli avrebbe reciso la gola? L’arma utilizzata sembra essere un coltello preso dalla cucina della vittima, il che allontanerebbe il dubbio sulla preordinazione dell’omicidio.
Quindi si torna ai tre quarti d’ora precedenti il fendente alla giugulare. Pretese economiche frustrate? Screzi sulla natura di quegli incontri? Rancori che potrebbero aver spinto a una vendetta? O semplice avidità? Andrea amava i gioielli, ne aveva tanti. Magari i due pensavano di ricavare somme consistenti dalla vendita. La delusione è arrivata al banco dei compro oro: la vita di Bossi valeva solo qualche centinaio di euro.
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