LA CASSAZIONE
Binda, assoluzione definitiva
Confermata la sentenza di secondo grado: non fu lui a uccidere Lidia Macchi: «La fine di un incubo»

Non fu Stefano Binda ad uccidere Lidia Macchi: lo ha stabilito in via definitiva, confermando l’assoluzione giunta nel 2019 da parte della Corte d’Appello di Milano, la prima sezione penale della Corte di Cassazione.
Sentenza che chiude definitivamente l’incubo del cinquantaquattrenne di Brebbia, cinque anni dopo l’arresto e dopo tre anni e mezzo di carcere, con l’ergastolo inflitto in primo grado dal Tribunale di Varese. «È la fine di un incubo che ho vissuto da sveglio», ha detto a caldo Binda, dalla sua casa di Brebbia.
In mattinata la requisitoria della Procura Generale aveva fatto da prologo alla successiva sentenza assolutoria. «È da confermare l’assoluzione di Stefano Binda dall’accusa di aver ucciso - nel 1987, nel Varesotto - la studentessa Lidia Macchi, colpita con 29 coltellate, il cui corpo è stato trovato in un bosco a Cittiglio nel gennaio di quell'anno».
L’aveva chiesto oggi il sostituto Procuratore generale della Cassazione, Marco Dall’Olio.
Il aveva chiesto di respingere il ricorso del Pg di Milano e delle parti civili contro il proscioglimento di Binda emesso il 24 luglio 2019 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.
In primo grado l'imputato nel 2018 era stato condannato all’ergastolo.
«Il principio di presunzione di innocenza e quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio sono stati correttamente applicati» nel verdetto d’appello che ha prosciolto Stefano Binda dall’accusa di aver ucciso Lidia Macchi e «la sentenza non ha compiuto alcuna anomala parcellizzazione dell’apparato indiziario nel suo percorso di ribaltamento delle certezze del primo grado» ha spiegato Dall’Olio, rilevando che l’alibi di Binda «non è stato smentito, non c'è il movente, non è suo il Dna trovato sul corpo della vittima e nessuno ha individuato contatti tra Binda e Macchi la sera della scomparsa della vittima».
Oltre a respingere il ricorso di procura generale della Corte d’Appello e parti civili, la Cassazione ha stabilito che sarà quest’ultima a dover pagare le spese processuali.
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