IL PROCESSO
Delitto Macchi in Cassazione
La Procura generale di Milano impugna la sentenza che ha assolto Stefano Binda

Il sostituto procuratore generale di Milano Gemma Gualdi ha depositato il ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale lo scorso 24 luglio la prima Corte d’assise d’appello ha assolto Stefano Binda dall’accusa di aver violentato e ucciso a coltellate Lidia Macchi la notte del 6 gennaio di 32 anni fa.
Se la Corte d’assise d’appello del capoluogo lombardo aveva motivato la cancellazione dell’ergastolo inflitto dalla Corte d’assise di Varese come un atto doveroso per mettere fine a quello che, tra le righe, era stato individuato come un grave errore giudiziario, costato tre anni e mezzo di carcerazione preventiva del 52enne di Brebbia, con le sue oltre 60 pagine di impugnazione il sostituto pg Gualdi non condivide il verdetto assolutorio redatto dal giudice a latere Franca Anelli.
«È stato celebrato un processo ingiusto, unidirezionalmente impostato e monocraticamente condotto», si legge nelle conclusioni del ricorso con il quale la Procura generale invita la Suprema Corte ad annullare la sentenza d’appello che, in sede di motivazione, aveva stigmatizzato il tentativo della pubblica accusa di imporre una verità a tutti i costi.
«Di fronte a una sentenza che ha poco compreso, molto scritto e tutto devastato, descrivendo un deserto probatorio, non c’è altro da fare che annullare per consentire una nuova valutazione delle prove, in appello erroneamente giudicate insuperabilmente scagionative», aggiunge Gualdi.
Secondo il magistrato la sentenza d’appello va annullata per via della «contraddittorietà manifesta della motivazione, per il dispregio degli istituti processuali, per il macroscopico, ininterrotto travisamento di elementi probatori essenziali».
Di più, va annullata perché «a fronte di gravi, certi, precisi elementi di prova raccolti diventa incompatibile e non ricostruibile logicamente ogni altro scenario alternativo possibile legato all’omicidio di Lidia Macchi».
Prendiamo la presunta prova regina, la poesia “In morte di un’amica”, arrivata a casa Macchi il giorno dei funerali della studentessa di Casbeno e che secondo la Procura generale è stata scritta dall’assassino: per la sentenza d’appello l’attribuzione dell’ignoto a Binda era «una mera congettura»; per il sostituto pg Gualdi, invece, «la poesia è stata certamente e inconfutabilmente scritta dall’imputato». A dirlo «quattro consulenze grafologiche» e, tra gli altri, i riconoscimenti della grafia da parte di Patrizia Bianchi e della sorella di Stefano, Patrizia.
«I resti peliferi nella zona pubica che hanno conservato preziose tracce che si vorrebbero liquidare come neutre», per dirla con la Corte d’appello? Per la Procura generale si tratta «di frammenti di capelli e non di peli pubici che non c’entrano con il rapporto sessuale e la cui provenienza può essere la più varia».
© Riproduzione Riservata