DELITTO MACCHI
Vittorini mantiene il segreto
L’avvocato ascoltato in aula: ha confermato che un suo cliente scrisse la lettera alla famiglia della vittima ma non ha voluto rivelarne l’identità. «Oggi ha un alto professionale»

Il segreto mi sta «lacerando l’anima, ho una famiglia, ho dei figli. Ho scritto io la lettera inviata alla famiglia di Lidia Macchi». Con queste parole, un cliente dell’avvocato Piergiorgio Vittorini, avrebbe detto di essere l’autore del testo mandato dopo l’omicidio della giovane uccisa a Cittiglio nel 1987.
Lo ha detto lo stesso Vittorini, oggi, giovedì 18 luglio, sentito come testimone nel processo di secondo grado a carico di Stefano Binda. Vittorini, avvalendosi del segreto professionale, non ha però rivelato l’identità del teste.
Secondo gli inquirenti, quel testo inviato alla famiglia Macchi e intitolato “In morte di un’amica”, fu scritto dallo stesso imputato, Binda, che è stato condannato in primo grado all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale.
Nella sua testimonianza questa mattina, in aula, il penalista Vittorini ha riferito che una persona si sarebbe presentata nel suo ufficio, alla fine del febbraio 2017, sostenendo di avere scritto la missiva come forma di “protesta” contro una morte ingiusta.
«Non conoscevo Lidia Macchi, ma condividevamo lo stesso contesto di Comunione e Liberazione a Varese» avrebbe detto il cliente a Vittorini.
Cliente che sarebbe anche «una persona laureata, con un alto livello professionale».
Secondo la testimonianza del penalista, il suo cliente gli avrebbe detto di non essersi mai presentato prima alla polizia perché non è in grado di fornire un alibi per la sera del delitto.
«In quel periodo ero a Milano - ha detto - ma non riesco proprio a ricordare dove fossi la sera del delitto».
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