IN TRIBUNALE
Diffamò il colonnello Cappello, «sei mesi di carcere»
La richiesta del pm nel processo a un ex carabiniere
Un post su Facebook, con una fotografia in divisa e accuse pesanti rivolte a un ufficiale dell’Arma: da queste righe scritte e pubblicate online nel marzo del 2019 nasce il processo che ieri è arrivato alla discussione finale davanti al giudice Rossana Basile. Sul banco degli imputati un ex carabiniere trentaquattrenne residente a Udine, accusato di aver diffamato il colonnello Claudio Cappello, anni fa comandante provinciale a Varese. Al centro della vicenda, un testo pubblicato online in cui si ripercorrevano i rapporti tra i due ai tempi della Scuola Marescialli di Firenze, dove il primo era allievo e il secondo comandante, e in cui si parlava di presunti comportamenti persecutori culminati con un trasferimento del giovane in Sardegna.
A prendere per primo la parola, ieri pomeriggio, è stato il pubblico ministero, che ha definito il post «oggettivamente lesivo della reputazione del colonnello Cappello e comunicato a più persone attraverso Internet». Secondo l’accusa, non vi fu da parte dell’ufficiale alcun atteggiamento persecutorio, anche perché «Cappello non poteva disporre nessun trasferimento e non poteva neanche interferire con la procedura». Il pm ha poi contestato la versione dell’imputato, che in aula ha negato di essere l’autore del messaggio. «Non c’è alcun dubbio che l’account sia riconducibile a lui e non c’è alcun dubbio che sia lui l’autore del post» ha detto il rappresentante della pubblica accusa, sottolineando i «precisi riferimenti» ai rapporti tra i due e rilevando che non si comprende «quale interesse avrebbero avuto altri soggetti a scrivere quelle parole». Per il pm, dunque, «nel proclamarsi estraneo ai fatti l’imputato è inattendibile». Chiesti infine sei mesi di reclusione per diffamazione pluriaggravata, con le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate.
Il legale di parte civile, l’avvocato Luca Marsico, ha condiviso le conclusioni del pubblico ministero, ad eccezione della concessione delle attenuanti generiche, «dato l’atteggiamento dilatorio tenuto dall’imputato nel corso del processo». Marsico ha ricordato che la diffusione del post fu amplificata dagli hashtag “Varese” e “carabinieri” e dalla fotografia in divisa del colonnello, scelte che resero più ampia la circolazione del testo e ne accrebbero la portata denigratoria. «Tutte le affermazioni erano offensive e tutte erano false» ha ribadito, sottolineando anche che l’imputato non presentò mai denuncia per furto d’identità, nonostante abbia sostenuto che qualcun altro avesse scritto il post a suo nome.
In chiusura, la difesa dell’ex carabiniere, rappresentata dall’avvocata Simona Bettiati, ha chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste». Secondo il legale, non è stato dimostrato «al di là di ogni ragionevole dubbio un collegamento tra il post e l’imputato», anche perché non furono svolte indagini tecniche in grado di stabilirlo. Bettiati ha inoltre osservato che il testo contestato conterrebbe elementi di verità e un linguaggio «continente».
Nel corso dell’udienza è stato ricordato anche il procedimento parallelo per calunnia in corso a Brescia, nato da una querela presentata dall’imputato contro Cappello, altri carabinieri e un pubblico ministero varesino. La competenza bresciana deriva proprio dal coinvolgimento di quest’ultimo.
Al termine della discussione il giudice Basile ha rinviato il processo alla fine di novembre per le repliche delle parti, dopo le quali si terrà la camera di consiglio che porterà alla sentenza.
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