LO SPETTACOLO
Emozione e sentimento: l’antidoto al nichilismo
Il filosofo-psicanalista Umberto Galimberti sul palco del Teatro Sociale di Busto Arsizio e del Teatro di Varese

A quasi ottantatré anni ci vuole un talento straordinario per darsi alla vita nelle piccole e nelle grandi imprese. Umberto Galimberti, esploratore dell’anima, questo talento continua a coltivarlo. Certo, nelle poche battute che concede alle interviste, si coglie un’urgenza, che poi è quella dell’alchimista che fa i conti col proprio dolore per distillare verità vestite di speranza. Troppo facile, se non semplicistico, liquidare la sua lezione come «neonichilista». Però è innegabile che dal 2008, quand’è mancata Tatjana Simonič, sua moglie nonché complice nel cammino nella scoperta del mistero della vita (fu ordinaria di Biologia molecolare all’Università di Milano nonché sua stretta collaboratrice nello stendere il Dizionario di Psicologia), il filosofo e psicanalista brianzolo si sia ritrovato a indagare gli abissi del dolore in guisa di solitudine. Capita a chi, oltre a una compagna, trova un’anima consustanziale. Così non c’è da sorprendersi se, colto di sorpresa al telefono un giovedì mattina qualsiasi, Galimberti - stasera, venerdì 21 febbraio, alle 21, al Teatro Sociale di Busto Arsizio e domani, sabato 22, al Teatro di Varese, alle 18 - cerchi di defilarsi dalle solite domande e si apra a una confidenza di uomo che fa i conti con un vuoto irreparabile. «Guardi - confida - non rilascio più interviste. Non ho più tempo per queste cose. Ho da badare a tanti piccoli impegni quotidiani: andare al mercato a fare la spesa, passare in tintoria per ritirare i vestiti, i pazienti del lunedì, scrivere libri, stendere appunti, perché l’intuizione non la puoi rimandare, ci devi dialogare coi suoi tempi: il qui e subito, altrimenti se ne va».
Parafrasando Carl Gustav Jung e la sincronicità, sembra che semmai un ruolo si possa affidare alle persone nella conduzione di se stessi dentro un altro mistero, qual è quello della coscienza collettiva, a Galimberti sia toccato quello di dover affrontare il nichilismo: specchiandoci il suo dolore e trovando una ricetta in forma di lumicino apollineo (la Pizia ammoniva: «Conosci te stesso») da condividere coi più. Insomma, un alchimista in missione speciale sulla via della speranza. Sarà per questo che dove mette piede, Galimberti raccoglie attorno a sé stuoli di pubblico: reale o virtuale, cioè navigante nel web, è solo questione di circostanze. «Ho già detto quasi tutto di quel Quando la vita era dominata dal cuore. Emozioni e sentimenti nell’età della tecnica che è il titolo del mio spettacolo. Dico quasi perché il contatto con l’Altro, nel caso il pubblico d’un teatro o d’una conferenza, resta fondamentale proprio nella chiave della risposta alla solitudine in cui ci sta imprigionando la ragione fatta tecnocrazia: da strumento per vivere a ordinatrice (in francese computer si traduce in «ordinateur» non per caso) della nostra vita. Ovvio richiamare il nichilismo di Nietzsche, cioè la scomparsa di Dio dalle nostre vite, che altro non è che resa all’appiattimento dell’unica via di salvezza: la follia dell’emozione».
Già ma che cos’è l’emozione?
«Una terra mai del tutto esplorata, per fortuna. E l’elaborazione cognitiva delle emozioni altro non è che il sentimento. In un mondo razionale come il nostro, l’emozione si vivifica nell’arte, la quale si serve dell’uomo per realizzarsi. Anche Dante per andare nell’abisso dell’inferno, grande metafora del sottosuolo della nostra anima, si fa accompagnare e si mette a nudo perché l’amore ha catturato la qualità della follia, l’ha rivelata e perciò sono in collegamento con te perché tu me l’hai spiegata».
Un richiamo a Adriana Mazzarella e al suo Alla ricerca di Beatrice. Comunque due carte, emozione e sentimento, da giocare per non annullarsi nel - mi passi il francesismo - «rincoglionimento» da tecnocrazia neocapitalista.
«Direi le ultime che abbiamo per condurci fuori dalla logica perversa che ci sembra strano, se non inutile fare qualcosa che non può portare un risvolto economico. Ecco perché resta essenziale la relazione con l’Altro: Platone andava dicendo che il dono divino più bello è la follia, cioè il filo che ci lega alla bellezza: la bellezza espressa attraverso l’arte, la bellezza di una relazione d’amore, cioè il ritrovarsi in un non luogo, che definisco atopia ma comunque un luogo in cui sei presente a te stesso e all’Altro».
Un luogo interdetto al Nowher man beatlesiano, così incapace di aprirsi all’emozione?
«Certo questa è anche la ragione per cui nessuno fa l’amore con tutti ma solo con chi è capace di cogliere la nostra follia in cambio della sua. Il resto è pornografia, che non è solo deriva sessuale ma inflazione emotiva. Quella del copione della pubblicità o della politica schiava della finanza, a sua volta servitrice della tecnologia: qui s’annida l’Ospite Inquietante di Nietzsche. Nessuno mai farà l’amore con un’abitudine robotica, né tanto meno con un robot. Al massimo, farà sesso».
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