LA SENTENZA
Fallimento del Varese: condannato Trainito
«Bancarotta fraudolenta»: due anni all’ex vicepresidente. La difesa annuncia ricorso in appello

Crac del Varese: paga l’ex vicepresidente, condannato a due anni di reclusione.
A oltre sette anni dal fallimento, è arrivata la prima sentenza penale per la fine del Varese 1910. E a pagare è l’ex numero due della società di calcio Massimo Trainito.
IL REATO
Il reato di bancarotta fraudolenta è stato contestato a coloro che erano ai vertici della società calcistica, per un breve periodo, nel 2015: il presidente Alì Zeaiter, cittadino libanese di 39 anni, e appunto il suo vice, Trainito, 54 anni, originario di Gela. La posizione del primo è stata stralciata perché in un primo tempo irreperibile, ed è ancora in fase di udienza preliminare (prossimo appuntamento davanti al gup a gennaio 2024). Per Trainito, invece, il processo è andato avanti di fronte al collegio e ora è arrivato a conclusione.
Difeso dagli avvocati Matteo Pelli e Flavio Sinatra, Trainito doveva rispondere, in concorso con lo stesso Zeaiter, della distrazione di quasi 135mila euro della società.
In che modo? Disponendo, nel giugno del 2015 (quindi cinque mesi prima del fallimento), sei bonifici a favore di se stessi: uno da cinquantamila euro per il vicepresidente, gli altri cinque a favore del presidente. Nella sua requisitoria il pubblico ministero Marialina Contaldo ha ricostruito il prelievo incriminato e ha chiesto la condanna a quattro anni di carcere: «L’imputato non ha fatto nulla per impedire il fallimento e non ha impedito che il presidente incassasse il resto».
Di avviso opposto l’avvocato Pelli, che ha invece chiesto l’assoluzione “per non aver commesso il fatto”: «I debiti, milionari, li hanno fatti altri, che non sono nemmeno stati indagati. Quando Trainito è arrivato, il debito era già ben definito, cristallizzato, tanto che per il curatore ammontava a 12-13 milioni di euro». Il legale ha ricordato che il consulente della Procura spiegò che la crisi finanziaria iniziò nel 2013 e che all’insediamento di Trainito e Zeaiter la situazione «era già compromessa, con una società decotta. Come si può imputare a lui il fallimento? E a che titolo lui, che non aveva neanche la firma sui conti della società, poteva impedire a Zeaiter di fare qualcosa? Trainito è rimasto con il cerino in mano quando è stato dichiarato il fallimento».
Tesi difensiva che evidentemente non è stata accolta dai giudici, i quali hanno anche disposto l’inabilitazione all’esercizio di impresa commerciale per due anni e la confisca dei 50mila euro al centro del procedimento.
Sentenza accolta con stupore dallo stesso Trainito e dal suo difensore: «Faremo appello», hanno dichiarato oggi pomeriggio, martedì 14 novembre, lasciando palazzo di giustizia.
Nel processo non si è costituita la curatela del fallimento, che però, tramite il curatore, ha avviato un’azione di responsabilità verso gli organi sociali.
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