UN MONDO AI MARGINI
Benvenuti nella città fantasma
I clochard sono spariti dagli ex magazzini ferroviari di via Pacinotti, ma si è formata una vera e propria baraccopoli dietro la stazione

Tira vento sotto il ponte della Mornera. «Daniel, Daniel». E non si sveglia. Sta raggomitolato dentro il suo sacco a pelo, la testa coperta, le scarpe a lato del materasso in gommapiuma alto meno di una spanna, vicino una bottiglia di birra rimasta a metà. Jack, il suo inseparabile cagnolino, ringhia. «Non sarà mica morto?», si domanda un signore che sta portando a spasso il suo, di cagnolino. «Daniel, Daniel».
Finalmente si muove qualcosa sotto quelle coperte. Daniel sta bene ma, quando si alza in piedi, si vede che è magro come uno scheletro. È un po’ assonnato. Si muove piano. «Piove, non vado in stazione», borbotta. Di solito è nel piazzale a chiedere l’elemosina. Stavolta si sposta solo di qualche metro, sedendosi sotto il ponte, in un angolo meno ventoso. Con il fedele Jack al suo fianco. Sta lì tutto il giorno. Per quanto ancora?
MURATO L’EX DEPOSITO
Daniel è solo uno dei tanti fantasmi che abitano a Gallarate. Gli altri non si rifugiano più negli ex capannoni del deposito ferroviario, oppure hanno trovato il modo per non farsi più beccare. Fatto sta che, da quando gli immobili sono stati messi in sicurezza ci vanno gli appassionati di soft air per le loro azioni simulate di guerra, non c’è traccia di clochard. Murato il varco che avevano aperto lungo la recinzione che corre a fianco dei binari dell’interscambio. Chiusi tutti gli altri buchi. Problema risolto? Non proprio. Basta spostarsi di qualche centinaio di metri verso lo scalo ferroviario ed ecco spuntare, dietro le piante di robinia, una vera e propria baraccopoli. Ci sono tre capanne in legno con una semiparete in cemento sul lato della ferrovia, un’altra più spostata su via Galvaligi, un paio di tendine canadesi e una casetta diroccata e occupata. È qui che vive la schiera degli invisibili di Gallarate. È un altro popolo, rispetto a quello sgomberato in via Pastori, in quell’edificio abbandonato a fianco del torrente Arno che una quindicina di anni fa doveva diventare la sede del centro prelievi dell’ospedale, tramite accordo con il Comune. In via Trieste abitano in prevalenza rom o stranieri. In via Pastori erano tutti italiani.
UN’ENORME CONTRADDIZIONE
Alle 11 del mattino non c’è nessuno dentro le baracche. Fuori piove a dirotto, ma gli abitanti di quella città fantasma sono già usciti. Ci sono i panni stesi che si inzuppano sotto l’acqua e un galletto che gira sospettoso tra i rifiuti. Nel bosco un paio di biciclette. Dentro quelle case di fortuna, tra sporco e disordine, si respira persino un clima familiare: coperte calde e qualcosa da mangiare messo in una credenza posticcia. Per riparare queste dimore di fortuna ci sono pure i teli di plastica sopra il tetto e le tende igloo sono rinforzate per evitare le infiltrazioni. Ma è tutto molto precario. E soprattutto, in enorme contraddizione rispetto a una città che non c’entra niente con questa baraccopoli. Nei giorni scorsi è stato messo in evidenza il potere attrattivo di Gallarate per le imprese. Ed è vero. Ma c’è l’altra faccia della medaglia. Quella più sporca e difficile da accettare. La baraccopoli dietro la stazione, a pochi passi dal commissariato di polizia e adiacente al parcheggio MetroPark, è lì a dimostrarlo.
NON TUTTI CI VOGLIONO ANDARE
La spinosa questione sociale era stata sollevata quest’estate in consiglio comunale anche dal Partito democratico con ampia documentazione fotografica. Da allora ad oggi non solo l’insediamento abusivo non è stato sgomberato, ma si è ingrossato con le tendine canadesi piantate fuori dalle baracche. D’altronde il Comune non ha competenza specifica sull’insediamento, essendo il terreno di proprietà privata. Dovrebbero essere i titolari - le Ferrovie ed altri - ad occuparsi di ciò che sta accadendo su una loro area. E per i clochard non è che Gallarate non faccia niente: ci sono le associazioni di volontariato, Exodus, Caritas, City Angels. Qualche anno fa è stata aperta la Casa di Francesco proprio per ospitare le persone ai margini. Ma non tutti ci vogliono andare.
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