L’INCHIESTA
Domiciliari a Del Bergiolo
Missile e armi da guerra, da ieri l’ex ispettore doganale è a casa con la madre

Fabio Del Bergiolo ha lasciato il carcere ed è andato agli arresti domiciliari a casa della madre ottantottenne, dove la polizia lo scorso 10 luglio aveva trovato un quantitativo incredibile di armi.
L’avvocato Fausto Moscatelli ha presentato l’istanza di attenuazione della misura cautelare e il gip Nicoletta Guerrero l’ha accolta. I motivi della decisione favorevole sono presto riassumibili: in casa non c’è più nemmeno l’ombra di un petardo, il sessantaduenne non può più contaminare gli accertamenti investigativi e lo stesso pubblico ministero Massimo De Filippo ha dato il suo benestare.
Ora il giudice dovrà valutare se fissare o respingere l’incidente probatorio chiesto dal difensore del gallaratese sulla natura di pistole, fucili, revolver e munizioni sequestrate. L’avvocato vuole infatti chiarire la potenzialità nociva del materiale ed escluderne l’eventuale utilizzo.
«Il provvedimento del gip è molto prudente e ponderato e a mio parere va di pari passo con l’accertamento della verità», commenta l’avvocato. E mentre le indagini della digos di Torino proseguono, Del Bergiolo ribadisce ciò che afferma dal giorno in cui è finito dietro le sbarre: «Sono un appassionato, un collezionista di armi e un consulente. Non sono un trafficante e non ho legami politici con nessun ambiente».
La digos di Torino - che è diretta da Fabio Mondora, ex vicequestore del commissariato di Gallarate e Carlo Ambra - è risalita al gallaratese partendo dal rinvenimento a Voghera di un missile aria aria, disarmato ma perfettamente funzionante, in dotazione alle forze armate del Qatar. Era conservato nell’hangar di Alessandro Monti, quarantaduenne svizzero finito pure lui in manette, come del resto il cinquantunenne Fabio Bernardi.
Era da un anno che gli inquirenti lavoravano al caso, partendo dalla lettera con cui, nel luglio 2018, un ex agente del Kgb disse di essere a conoscenza del progetto di un attentato a Matteo Salvini, ordito dagli estremisti ucraini. Gli investigatori misero sotto osservazione cinque soggetti, piemontesi e valdostani, che avevano combattuto nel Donbass a fianco del Battaglione Azov, formazione dell’Ucraina in lotta contro le milizie filo-russe.
Non furono trovati indizi, riscontri o conferme di un possibile “Salvinicidio”. Ma uno dei cinque, un giorno, fu contattato da un esperto d’armi che gli chiedeva se per caso fosse interessato a comperare un missile. Seguendo quella pista, la polizia arrivò all’hangar di Rivanazzano che custodiva l’armamento. Dalle telefonate emersero conversazioni di Del Bergiolo che, a parere della procura torinese, indicavano l’interessamento del sessantunenne nella vendita del missile da guerra per circa 470mila euro. Tra i potenziali acquirenti ci sarebbe stato anche il funzionario pubblico di un altro Paese che avrebbe chiesto informazioni pretendendo però la documentazione sull’acquisto della bomba.
Durante i due interrogatori a cui è stato sottoposto - uno davanti al gip Guerrero, l’altro con i pm torinesi e il procuratore capo di Busto Gianluigi Fontana - il gallaratese ha però dato un’altra lettura dei fatti: il suo amico lo avrebbe interpellato per un parere, per capire cioè se il missile fosse carico. Del Bergiolo - che andò a visionarlo a Voghera - concluse che a occhio nudo non si potesse dare una risposta e che solo attraverso una perizia si sarebbe potuto appurare. I casi sono due a questo punto: o si tratta di un grande equivoco, al netto del reato di detenzione di armi in sé sequestrate pure nella sua villetta di Massa, oppure Adnan Kashoggi a suo confronto non era nessuno.
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