IL REPORTAGE
«Non diamo fastidio a nessuno»
Una mattinata insieme alla Compagnia del Tavernello, tra birre, pranzo all’ex Acli e lavoro che non c’è. In piazza Risorgimento si lamentano: «Ma noi non facciamo nulla di male»

Fa freddo in piazza Risorgimento. «E’ normale. Siamo al mese di febbraio. Ma da noi andiamo con la maglietta con le maniche corte con questo clima. Io sono della parte vicina alla Romania, parlo il russo e il romeno, ma sono nato in Moldavia. Da sedici anni sono qua a Gallarate».
Alessandro viene dalla Moldavia
Alessandro ha modi gentili e chiacchiera volentieri: «Da quando ci siamo separati dalla Russia, il lavoro è finito. Se potevo stare al mio Paese, non venivo qua. Io faccio il muratore, il carpentiere. Ho lavorato quattordici anni, giorno su giorno, nella mia ditta che poi è fallita. Adesso lavoro dove capita. Vengo qua con i miei amici per stare in compagnia. Vado a mangiare all’ex Acli quando non ho un’occupazione ma per un mese sarò tranquillo perché il mio principale mi ha detto che in questi giorni cominciamo con un nuovo cantiere». Alessandro è seduto su una panchina, si fuma una sigaretta in tutta tranquillità, mentre aspetta che arrivino gli altri. E’ mezzogiorno passato da una decina di minuti, il sole inizia a scaldare piazza Risorgimento, dopo la mattinata in ombra. E così arrivano anche gli altri. «Abito dove c’è questo semaforo», indica Alessandro. Quanti saranno quelli che vengono nel giardinetto e trascorrono insieme la giornata? «Non lo so, dipende da quanti lavorano. Se hanno da fare non vengono qua. L’importante – aggiunge – è avere un lavoro. A me anche se mi dicono – scusate – di spalare la merda, io lo faccio. Basta che pagano». La moglie fa la badante. «Io lavoro ce l’ho, al massimo rimango due o tre giorni fermo». E’ uno dei pochi fortunati.
Raffaele lo chiamano il nonno
Il capo del gruppo, si sa, è Raffaele. Il nonno, lo chiamano. All’inizio fa il prezioso. Vuoi raccontare la tua storia? «No, no. Non mi va proprio di parlare». Poi si scioglie. E si fa pure fotografare. «Ci ritroviamo sempre qua, alla mattina e al pomeriggio». Ha sessantasei anni. Ride: «Io la pensione la prendo, ma non c’houna casa. Sto da questo mio amico, conoscevo anche suo padre». Per mangiare c’è la Mensa del Buon Samaritano. «Tiro avanti, cazzo devo fare?». E’ originario di Napoli. «Qui è tutto uguale, non cambia mai niente». La gente si lamenta, però, dice che Raffaele e i suoi amici si ubriacano, che rovinano il decoro di Gallarate: «Sì, sì, solite storie. Ma vadano a vedere quelli che ammazzano la gente a pezzi. Oooh, ma che ci lascino in pace. L’ha detto anche il governo che c’è troppa delinquenza in Italia e vengono a prendersela con noi». Da sessant’anni è qui al Nord: «Sono stato a Peveranza, Bolladello, Cairate, Fagnano. Tutti li ho girati. Io facevo il cuoco. Ho lavorato quindici anni al Ciclope. Di pensione prendo la minima, ho venticinque anni di lavoro. Mi danno seicento euro. Ne do cento al mio amico per dormire, non me la sto cavando male. Gli altri sono messi peggio, quelli che non hanno il lavoro». Guai a stare chiusi in casa, però, una costante è la vita insieme agli altri: «La giornata la passiamo qui. Tranquilli. Quattro chiacchiere. D’altronde cosa devi fare, se vai da qualche altra parte cosa combini? La stessa cosa». Raffaele ha figli ma stanno «per cazzi loro, sono sposati». La moglie? «Sono separato, ormai sono trent’anni. Lei fa la sua vita, io faccio la mia. Ti dividi e basta, cosa devi fare le sceneggiate? Le sceneggiate le fanno in teatro». E lui, ormai, vuole una sola cosa: «Vivere tranquillo».
Fabrizio vorrebbe un’occupazione
«Il lavoro ce n’è poco – torna come un’ossessione il solito refrain - qualsiasi cosa mi adatto a fare. Una casa ce l’ho per adesso. Sono un po’ indietro con gli affitti, ma ce la farò. Tutto il giorno sto qua con gli amici. Non c’è un numero preciso. Gente che va, gente che viene. Mangiamo all’ex Acli, alla sera no». Qui intorno dicono che bevete, è vero? «Sì, ma un po’ di birra non ha mai fatto male a nessuno». In poche parole Fabrizio, quarantacinque anni, spiega la sua logica. Che è poi quella di tutto il gruppo che a Gallarate chiamano la compagnia del Tavernello: «Cominciamo a trovare il lavoro, poi il bere si può lasciar stare».
A Sergio manca poco alla pensione
Sergio è il più incavolato: «E’ un anno che non lavoro. Facevo il magazziniere a Castronno, ma l’azienda è fallita. Adesso vado a mangiare alla mensa. Per fortuna la casa ce l’ho anche se attualmente non pago l’affitto. Mi manca un anno a farne quaranta di lavoro e non posso ancora prendere la pensione. C’ho cinquantanove anni ma voi parlate, parlate, venite qui a chiederci come passiamo la nostra vita ma non cambia mai niente». La giornata di Sergio è uguale a quella degli altri suoi amici: «Sto con la compagnia. Mi diverto. Beviamo ma non facciamo niente di male». Sotto sotto, però, è deluso e amareggiato da questa società: «Abbiamo un governo di merda – va ripetendo – ma uno vale l’altro». Quante birre berranno in una giornata lui e i suoi amici? «Io non ne bevo di birra, mi fa schifo. Bevo un vino da 85 centesimi, non è il Tavernello. E’ un vinello leggero, un vino di merda che va giù. Non me ne fotte un cazzo di smettere, se voglio bere, bevo. Se no, no. Ora abbiamo mangiato, beviamo un bicchiere, cosa c’è di male? Non diamo fastidio a nessuno». Questi sono i comandamenti della Compagnia del Tavernello.
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