SANT’ANTONIO ABATE
Terrore in ospedale
Clochard picchiano pugni e bestemmiano per entrare nei reparti, poi se ne vanno lasciando la devastazione

Non soltanto oscenità, degrado e stordimento, ma anche violenza, ira e vandalismi. Nei corridoi, sulle porte blindate dei reparti, verso gli accessori di servizio per l’emergenza. Insomma, quanti pensavano - e a Gallarate ce ne saranno stati parecchi - che al Sant’Antonio Abate il punto più basso legato alla presenza di tre clochard habitué fosse stato toccato qualche notte fa da quello che si è presentato senza mutande davanti alla vetrina del Nido dei neonati e al Pronto soccorso pediatrico, bé, si sbagliavano.
Gli atti osceni in luogo pubblico frequentato da minori, come è il capo d’accusa della denuncia depositata in Procura dai vertici ospedalieri contro il senza tetto scostumato, sono soltanto uno degli ultimi casi all’ospedale cittadino. Solamente un brutto episodio inserito in una serie di altri spiacevoli momenti. Perché, forse complice la pubblicazione dell’inequivocabile foto del tizio a gambe nude con le mutande in mano anziché addosso e del relativo articolo (sabato scorso su queste colonne), sono arrivate in redazione ulteriori prove in immagini e video delle scorribande di questi soggetti dove l’accesso per forza di cose rimane libero: scene di escandescenze gratuite e inquietanti, che lasciano sul campo anche danni materiali a carico della comunità. In quanto la struttura sanitaria di via Pastori è pubblica.
Il nuovo caso
Venerdì notte il nuovo caso. Protagonista non lo stesso clochard, bensì un suo compare di rifugio negli anfratti del Sant’Antonio Abate. Anche lui era in evidente stato di alterazione mentale: ha cominciato a scagliarsi contro l’ingresso blindato di un reparto, ha srotolato la canna dell’idrante, ne ha tolto il terminale in metallo e l‘ha usato per colpire il vetro della porta in ferro. La pistola che comanda il getto d’acqua in caso di incendio è stata poi abbandonata in giardino.
L’aggressione immotivata, ripresa con il cellulare da qualcuno all’interno dell’unità operativa, è stata condita da urla e bestemmie contro non si capisce chi. Dopodiché l’uomo, che è arcinoto quanto lo sono gli altri due senza tetto che spesso bivaccano con lui nella sala d’attesa al Pronto soccorso, ha deciso di andarsene una volta compreso che non ce l’avrebbe fatta ad aprire. Inevitabile, oltre allo sconcerto, la paura tra gli operatori.
Le porte blindate
In realtà, difficilmente sarebbe riuscito a entrare. E la ragione è semplice: tutte le porte sono blindate e si accede con il codice da digitare sull’apposito tastierino. «Abbiamo speso decine di migliaia di euro per mettere in sicurezza tutti i reparti», tiene a sottolineare il direttore dell’ospedale, Roberto Gelmi, annotando l’ennesima scena da denuncia. «Nei reparti, quindi, questi soggetti non possono entrare. E il personale può stare tranquillo. Restano naturalmente aperte sale d’attesa, scale, cortili e giardini».
Infatti, è in questi luoghi che agisce il gruppetto di clochard violenti che non hanno ancora abbandonato il Sant’Antonio Abate. E se unità operative e Pronto soccorso sono blindati è proprio a causa di quanto successo nel recente passato. Il che comunque non rasserena Gelmi, costretto a una continua presa d’atto: «Chiamiamo continuamente le forze dell’ordine, che intervengono sempre immediatamente. Anche la magistratura si sta muovendo. Speriamo in una soluzione veloce».
La necessità del daspo
Però il problema resta. Fratelli d’Italia presenterà anche un’interrogazione parlamentare. Il fatto che sia stato depotenziato di alcuni reparti, poi, rende il Sant’Antonio Abate inevitabilmente più vulnerabile. Quindi? Soltanto una diffida ad avvicinarsi anche alla portineria potrebbe allontanare questi soggetti. C’è la necessità del daspo. Potrebbe essere la soluzione. Molti cominciano a invocarlo.
© Riproduzione Riservata