IL PROCESSO
Gazzada, bambina adescata in chat
Lei, 11 anni, portata da un 25enne a casa dove hanno avuto un rapporto sessuale. Condannato a 5 anni
A 25 anni ha adescato una bambina di 11 sul social network Snapchat, ha scambiato con lei messaggi e fotografie, e alla fine l’ha convinta a dire sì a un incontro. Ha portato quindi la piccola nella propria abitazione, con i genitori presenti, e in camera ha avuto con lei rapporti sessuali completi.
Una vicenda terribile e allo stesso tempo assurda, perché è stato poi il padre del venticinquenne, che su Snapchat si fingeva di qualche anno più giovane, a riportare a casa la bambina quella stessa sera. Sorella e madre di Alice (nome di fantasia) non hanno impiegato molto a capire che c’era qualcosa che non andava e una volta scoperto quello che era accaduto hanno denunciato il ragazzo ai carabinieri.
Da qui un’indagine della Procura di Varese che lo scorso marzo, due mesi dopo i fatti, ha portato il venticinquenne in carcere, dov’è tuttora, e poi davanti al giudice delle udienze preliminari Stefania Pepe, per un processo con rito abbreviato per atti sessuali con minorenni (secondo il Codice penale è fissata infatti a 14 anni la soglia al di sotto della quale vige una presunzione assoluta di invalidità del consenso ad atti sessuali eventualmente prestato dal minore).
Ieri, mercoledì 11 ottobre, la sentenza: il ragazzo, difeso dagli avvocati Rosanna Zema e Francesco Rossini, è stato condannato a cinque anni di reclusione, così come richiesto dalla Procura di Varese, con lo sconto di pena garantito dal rito e con le attenuanti generiche.
Il risarcimento alla piccola, parte civile con l’assistenza dell’avvocato Massimo Tatti, e al padre, assistito invece dall’avvocato Maria Vanzanella, sarà stabilito con un separato giudizio civile.
Nel frattempo il gup ha disposto una provvisionale per l’undicenne, una sorta di anticipo, pari a 25mila euro (la famiglia dell’imputato ne ha già versati 8mila).
I fatti sono avvenuti nel gennaio di quest’anno, con un primo contatto su Snapchat, social network a metà strada tra TikTok e Instagram che permette di chattare con gli “amici” e di condividere foto e brevi video che vengono cancellati automaticamente al termine della visualizzazione.
Il venticinquenne finge di essere un po’ più giovane, riesce a ottenere la fiducia della bambina, che ha iniziato da poco la prima media, la lusinga con complimenti da “grande” e ottiene anche sue fotografie. Infine la richiesta di un incontro, con Alice che dice sì, racconta alla mamma che va da un’amica (i genitori sono separati) e arriva a Varese in treno, dove conosce di persona il ragazzo. Lui le compra calze a rete e perizoma, e poi, come se nulla fosse, la porta a casa, raccontando a mamma e papà che l’amica ha 16 anni, e nella sua camera da letto ha con lei rapporti sessuali completi.
Tornata a casa, la bambina racconta quindi alla sorella di essersi «fidanzata» e per questo l’altra ragazza e la madre la interrogano a fondo, la costringono a mostrare il contenuto del suo cellulare e infine, venute a conoscenza dell’accaduto, la portano in Pronto soccorso, dove i medici individuano i “segni” degli atti sessuali appena compiuti.
Nel corso del processo, in cui la testimonianza della vittima è stata cristallizzata con la formula dell’incidente probatorio, i difensori hanno sostenuto che il loro assistito non conoscesse in realtà la vera età della sua corrispondente su Snapchat e abbia quindi commesso un grave errore in buona fede, e in subordine che il fatto sia stato, tutto considerato, di lieve entità.
Il giudice è stato però di tutt’altro avviso, anche se chiaramente non è partito, come la Procura, dal massimo della pena previsto dal Codice, pari a 12 anni.
Un caso di adescamento, senza mai incontri dal vivo, si era verificato in passato anche a Luino.
© Riproduzione Riservata