IL CASO
I «no» di Sinner. Come dargli torto?
L’analisi di Andrea Anzani sul forfait, mercoledì 29 gennaio, del campione al Quirinale

Jannik Sinner oggi, mercoledì 29 gennaio, non farà passerella al Quirinale e nei palazzi della politica. Il due volte vincitore degli Australian Open ha “mandato un certificato medico”: il dottore gli avrebbe intimato un periodo di assoluto riposo dopo le fatiche australiane.
In realtà il rosso schiva quella serie di impegni pseudo-istituzionali che lo infastidiscono e che ha già vissuto lo scorso anno, sempre reduce dal trionfo di Melbourne, quando lo costrinsero a un set fotografico al Colosseo con l’ex ministro più chiacchierato dell’estate, Gennaro Sangiuliano, e con la ministra più discussa dell’inverno, Daniela Santanché...
Stavolta ha detto «no»: come dargli torto? Uno come Sinner vive queste passerelle come perdite di tempo, come giorni sottratti al recupero e al lavoro. Già in passato, e oggi di nuovo, è bersaglio di ritriti discorsi sulla residenza monegasca e sull’italianità da altoatesino, ma Jannik fa spallucce e ha ragione.
Del resto quello ai palazzi della politica non è il solo «no». Anche il Festival di Sanremo non lo avrà ospite nonostante i ripetuti inviti e il ricco gettone di presenza offertogli. Semplicemente non gli interessano quei riflettori, quelle frequentazioni, i salotti. Qualche compromesso l’avrà e dovrà magari concederlo, ma che sia un campione diverso e un ragazzo speciale lo abbiamo capito da tempo: per come vive le vittorie e assorbe le sconfitte, come gestisce la pressione e come parla, quel che dice.
Per quanto è educato e per come è disponibile. Non fa le foto coi ministri e non duetterà con Carlo Conti? Importa che continui a vincere, certo, ma soprattutto che seguiti a essere un bell’esempio positivo come persona e lo sportivo con la ferrea cultura del lavoro che ha dimostrato di essere.
Figlio di una cameriera e di un cuoco, benedetto dal talento ma «predestinato al lavoro» - come lui stesso s’è definito -, Jannik si distingue e vince coi suoi «no» come quando è in campo.
È poco italiano in tutto questo? Non la pensa così chi lo ha fatto testimonial di due simboli di italianità come la pasta (De Cecco) e il caffè (Lavazza). Chi gli sta dando contro non comprende che è con scelte come queste che si diventa numero uno del mondo.
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