VATICANO
Il mondo a San Pietro
Significato e anticipazioni del conclave. Dopo Francesco, nulla come prima

L’ombelico del mondo alla Cappella sistina dove viene scelto il capo della Chiesa cattolica che assomma, secondo le statistiche più recenti, un miliardo e 400 milioni di fedeli. Non è tutto il pianeta, sia chiaro, ma una buona fetta. E, soprattutto, il pontefice ha avuto e avrà un potere d’influenza mondiale ben più ampio di quanto dicano i numeri della sua confessione.
Il potere e la misericordia
Il papa è un’autorità, è un punto di riferimento dentro un’umanità ormai allo sbando, la sua figura è cambiata nei secoli e Papa Francesco ha contribuito a smontarla nei suoi connotati sacrali e a renderla più umana, più vicina ai dubbi e alle sofferenze di chi ogni giorno deve misurarsi con le ferite e gli ostacoli dell’esistenza, così come duemila anni fa aveva fatto Gesù. Che, sul più bello, voleva rifiutare l’amaro calice. Poi lo accettò. Piaccia o non piaccia, insomma, Bergoglio ha segnato un solco. Ha gestito il potere dentro la Chiesa con molta decisione, ma fuori ha mostrato un volto aperto e misericordioso, tanto da aver promosso un giubileo che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale e la sua forza rivoluzionaria in un mondo dilaniato dai conflitti.
Aspettando la fumata bianca
Cosa succederà ora? I bookmaker si sbizzarriscono nello sfornare quote sempre più aggiornate, anche se in Italia non sono ammesse scommesse religiose. Gli analisti si affannano a individuare profili, a ipotizzare scenari e a scodellare i nomi dei favoriti, che poi sono sempre gli stessi. I vaticanisti sguazzano dentro la loro materia ma, la dimostrazione con la nomina di Papa Francesco, non sempre ci prendono. Quindi cosa ci resta da fare se vogliamo indovinare a chi sarà dedicata la fumata bianca dal comignolo di San Pietro? Semplice dovremmo interrogare colui che tutto sceglie e tutto decide.
Giovedì sera ci sarà l’elezione
Il soffio dello Spirito Santo entrerà dentro le sale affrescate e illuminerà le menti dei cardinali. Basta chiacchiere. Potrebbe indicare la via giusta già il primo giorno. Ma, i soliti bene informati, avvertono che il secondo dovrebbe essere quello giusto, probabilmente verso sera. Sarà vero? Boh. Giornali e giornalisti si stanno organizzando per essere pronti giovedì. E se poi dovesse succedere che andrà diversamente, pazienza. Anche perché, va bene lo Spirito Santo ma, nel frattempo, pure i cardinali si saranno già fatti la loro idea nelle varie riunioni preliminari, nei contatti con chi dentro il Vaticano ha potere. Appunto, chi ce l’ha questo potere? Tutti e nessuno.
L’esempio democristiano
Una regola cardine, in tali contesti, deriva da ciò che la vecchia Democrazia cristiana ci ha insegnato ai tempi d’oro di Andreotti, dei dorotei e di tutte quelle correnti che hanno tenuto a galla la balena bianca per più di cinquant’anni. La regola semplice semplice è che, come in montagna, per arrivare in cima bisogna mettersi in cordata. Serve perciò creare un gruppo di opinione e di pressione che sappia spuntarla. È un’operazione non rapida, di solito, ma costante. I voti si conquistano uno alla volta, poco per volta. Portando l’avversario allo stremo e costruendo nuove alleanze durante il percorso ma con un’idea chiara in mente e con un nome preciso che, non sempre, viene speso all’inizio.
Si comincia da Pietro Parolin
Per questo si partirà, come ovvio, da colui che ha stretto rapporti con i poteri più forti della Chiesa e con quelli della diplomazia mondiale (pure i cinesi), cioè con il segretario di Stato Pietro Parolin. Lui prenderà le redini ma non è detto, anzi non dovrebbe, fare strike al primo colpo. Il conclave ha bisogno di macinare pensieri, di metabolizzare ragionamenti e di costruire un progetto sempre più condiviso. Quindi Parolin è un buon inizio ma non dovrebbe essere il punto d’arrivo. Il confronto, allora, si incardinerà tra coloro che vogliono proseguire nel solco di Francesco, proseguendo sulla via del rinnovamento, e chi proverà a far valere la tradizione rispetto alla sete di cambiamento. Questo è lo schema ma, naturalmente, non sarà così marcato nel conclave, con le posizioni che sono molto più sfumate e destinate, addirittura, in alcuni casi, a sovrapporsi.
I progressisti e la Francia di Macron
Ecco, allora, i progressisti con il capo della Cei Matteo Zuppi e il filippino Luis Antonio Tagle, mentre sul fronte dei conservatori sta in pole position il congolese Fridolin Ambongo Besungu. Ma sono maturi i tempi per quel papa nero che i Pitura Freska invocavano già nel 1997? Bisognerebbe sempre chiederlo allo Spirito Santo, che non è tipo di tante parole. Di solito manda messaggi criptici, per cui proviamo a ipotizzare una soluzione diversa tra la contrapposizione dei due blocchi e troviamo un nome di mediazione. Che potrebbe essere quello del francese Jean-Marc Aveline, per la gioia (dovesse succedere) del già esaltato Emmanuel Macron, così da ripagarlo del fatto che è rimasto escluso (nonostante ci abbia provato in tutti i modi) dal faccia a faccia Trump-Zelensky tra le volte di San Pietro il giorno del funerale di Bergoglio.
Make Vaticano Great Again
Però, no, l’immensa misericordia di Dio non dovrebbe premiare la vanagloria di un singolo, anche se, di questi tempi, vanno per la maggiore i personalismi. E quindi, se non vincerà Macron perché non colui che in questo momento sta tenendo in mano il pallino del mondo, cioè Donald Trump? Magari l’idea di Make Vaticano Great Again potrebbe essere vincente, con un americano al soglio pontificio. Quella Chiesa, si dirà, è scossa da troppi casi venuti a galla o insabbiati di pedofilia, quindi non può esprimere il papa. Ma qualche nome pesante è già stato speso come quello dell’arcivescovo di New York Timothy Michael Dolan (l’ha sponsorizzato bruciandolo Trump, beccandosi pure la critica per la sconveniente foto in abiti papali), affabile e divertito nelle interviste di questi giorni, ma soprattutto di quel gruppo di cardinali, per la maggior parte progressisti, come Wilton Daniel Gregory (primo cardinale afro-americano, pure questa sarebbe una novità non da poco e non è detto che la Chiesa sia pronta), Blase J.Cupich da Chicago e soprattutto Robert Francis Prevost, che sarebbero la dimostrazione del classico scherzetto da prete perché verrebbe eletto per la prima volta nella storia una papa americano (quindi Trump non potrebbe lamentarsi) ma sarebbe anti-presidente degli Stati Uniti.
La profezia di Formigoni
Per questo, pure la strada americana sembra lastricata di buone intenzioni, ma non di un nome sicuro. E chi salirà, allora, al soglio di Pietro? Il punto di caduta dopo il necessario confronto potrebbe essere il nome di un italiano che ha una statura internazionale e darebbe un segnale di grandissima importanza dentro questo mondo che sembra trasformato in un’enorme trincea. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa è patriarca di Gerusalemme, è giovane quasi quanto lo era Woytjla quando venne eletto, e ha una ragionevole posizione mediana rispetto alle posizioni fin qui delineate. Non è un caso che il presidente della Lombardia per dodici anni Roberto Formigoni, intervistato da Paolo Grosso nei giorni scorsi, abbia fatto il nome proprio di Pizzaballa. Che, tra l’altro, prosegue nel solco indicato da don Giussani. Un papa di Comunione e Liberazione non c’è mai stato e questi potrebbero essere tempi maturi, se non altro per ridare slancio all’universalismo di un messaggio che abbraccia, nel suo intimo, la sfida dirompente lanciata più di duemila anni fa da Gesù, utilizzando proprio chi vive e lavora nella terra che fu quella di Cristo. C’è da dire che, nel 2022 quando Prealpina chiese a Formigoni chi sarebbe stato il presidente della Repubblica lui indicò senza indugio Sergio Mattarella. Allora indovinò, che ci abbia preso anche stavolta? Ai bookmakers (ops, ai cardinali) l’ardua sentenza.
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