REMIGRATION
«La provincia di Varese non è il teatro di Gallarate»
Il presidente dell’ente di Villa Recalcati, Marco Magrini, interviene dopo il summit anti-immigrazione di Gallarate

Dopo il “Remigration summit” avvenuto sabato scorso a Gallarate, il presidente della Provincia di Varese, Marco Magrini, ha fatto sentire la sua voce con un intervento pubblicato sull’edizione della Prealpina di oggi, lunedì 19 maggio. Di seguito il testo del suo scritto.
L’INTERVENTO DI MAGRINI
«A chi ha avuto l’ardire sabato di sbandierare l’Articolo 21 circa la libertà di espressione devo rammentare che la stessa Carta contiene disposizioni specifiche e significative contro il fascismo e qualunque idea ad esso collegata, principalmente attraverso la XII disposizione transitoria e finale. Così oggi siamo chiamati non soltanto a riflettere, ma a scegliere quale società vogliamo essere. Viviamo in un tempo in cui parole e concetti che credevamo sepolti nella polvere della storia riaffiorano con nuove vesti, cercando di farsi spazio nel dibattito pubblico anche nella nostra laboriosa provincia. Tra questi, c’è appunto il concetto di remigrazione, un’idea che pretende di risolvere le complessità del nostro tempo con la semplificazione brutale dell’esclusione.
Vorrei essere chiaro, io ripudio questa idea: la democrazia non è solo un sistema di governo. È un patto civile, un’idea collettiva di dignità umana. È il riconoscimento che ogni persona, indipendentemente da dove sia nata, dal colore della sua pelle o dalla sua religione, ha diritto a una voce, a una casa, a una possibilità. La democrazia è il terreno sul quale si costruiscono ponti, non muri. La democrazia autentica non si limita a contare i voti. Si misura nella capacità di garantire i diritti delle minoranze, di tutelare chi è più vulnerabile, di proteggere chi arriva e chiede di essere accolto con dignità. Un Paese che espelle, respinge, discrimina non è più una democrazia: è una comunità che ha rinunciato alla propria umanità. Certo, nessuno nega che la convivenza sia una sfida, che l’integrazione richieda impegno, regole e rispetto reciproco. Ma è proprio nelle sfide che si misura il valore di una nazione. Ed è qui che dobbiamo scegliere se essere un Paese impaurito o una comunità capace di governare la complessità senza cedere alla tentazione della semplificazione violenta. Il vero nemico non è chi arriva con la speranza di una vita migliore, ma chi semina odio, chi costruisce consenso sulla paura, chi sogna società etnicamente omogenee, dimenticando che l’identità di un popolo non è mai stata un monolite, ma un mosaico. È nella nostra Carta fondamentale che si ritrova il cuore pulsante della democrazia, il riflesso della dignità umana, la tutela dei diritti e la definizione dei doveri di ciascuno di noi. È lì che è scritto chi siamo e, soprattutto, chi vogliamo essere. Certo, proprio perché l’accoglienza è un atto alto, essa deve poggiare su un patto chiaro, leale e reciproco.
Chi arriva nel nostro Paese ha il diritto di essere accolto nella sicurezza e nella dignità, ma ha anche il forte dovere di rispettare le leggi, le regole e i valori fondamentali che tengono insieme la nostra comunità. Il rispetto delle regole non è un’opzione: è il linguaggio comune grazie al quale popoli diversi possono convivere. Non esistono scorciatoie. Accoglienza e legalità non sono in contrasto. Sono le due gambe su cui può camminare una società moderna, giusta e coesa. Se c’è accoglienza senza regole, nasce il disordine. Se ci sono solo regole senza umanità, cresce l’ingiustizia. Il nostro compito è trovare, ogni giorno, il punto di equilibrio tra queste due esigenze, senza cedere alle semplificazioni, senza alimentare paure e senza chiudere gli occhi davanti alle difficoltà.
Sabato nelle interviste qualcuno ha tirato per la giacchetta anche la supremazia del Cristianesimo. Non devo certo vestire io i panni del curato di provincia ma è giusto rammentare che i testi biblici sono popolati di viaggi, fughe, esodi, partenze e ritorni. Sono storie di popoli in cammino, di uomini e donne che abbandonano la propria terra in cerca di salvezza, libertà, pane e speranza. Quello biblico è un messaggio universale, che parla ancora oggi. Ci dice che nessuna terra è davvero solo nostra, che ogni patria è temporanea, e che la fraternità umana si misura soprattutto nel modo in cui trattiamo chi è straniero, debole, pellegrino. Le migrazioni non sono una parentesi della storia. Sono parte della storia dell’uomo. Varese e la sua provincia non si lasciano quindi sporcare da progetti come quello della remigrazione: qui esiste un passato di accoglienza, anche di forte lotta e resistenza per costruire valori democratici resistenti come ponti e non alti e impenetrabili come muri.
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