IN TRIBUNALE
La verità di Aloe può mettere nei guai Vincenzo Farao
In Aula la testimonianza del collaboratore di giustizia sull’omicidio di Cataldo Aloisio avvenuto a San Giorgio su Legnano nel 2008

Collegato in video dal carcere, il collaboratore di giustizia (dal marzo di due anni fa) Gaetano Aloe, ex killer della cosca Farao-Marincola, racconta la sua verità ai giudici della seconda Corte d’Assise di Milano. Una verità che parrebbe mettere seriamente nei guai Vincenzo Farao, sotto processo con l’accusa di aver partecipato all’omicidio del cognato Cataldo Aloisio, il cui cadavere fu rinvenuto all’esterno del cimitero di San Giorgio su Legnano la mattina del 27 settembre del 2008.
Il teste, assistito in Aula dall’avvocata Monica Oreggia del foro di Alessandria, ha risposto a tutte le domande. Partendo da una premessa: «La mia vita è stata segnata dalla ‘ndrangheta sin da quando sono nato. Sono figlio di un boss (Nicodemo Aloe, morto ammazzato nel 1987, ndr) che ha contribuito a crearla e ora voglio fare di tutto per distruggerla. La ‘ndrangheta è un cancro e va estirpato». Per la cronaca Aloe jr, che sta scontando in carcere 13 anni e nove mesi per associazione di stampo mafioso nell’ambito del processo Stige, che ha permesso alla Procura Antimafia di Catanzaro di smantellare una “holding criminale” che avrebbe controllato interi settori dell’economia locale e influenzato l’attività amministrativa a Cirò Marina e dintorni, si è anche autoaccusato di aver partecipato alla sparatoria sulla veranda di un ristorante di Cirò Marina, nell’estate del 2007, che costò la vita a Vincenzo Pirillo, lo zio di Aloisio all’epoca reggente della cosca Farao-Marincola. Lo stesso Pirillo che in passato aveva confidato a Gaetano Aloe di aver ucciso lui suo padre Nicodemo e la cui morte Cataldo Aloisio voleva vendicare e per questo avrebbe messo in piedi una squadra di fuoco. «Noi eravamo preoccupati dai propositi di vendetta ostentati da Aloisio, ma quando incontrai Vincenzo Farao, fuori dalla casa di suo fratello Francesco, mi disse di stare calmo, perché “Me la sono vista io con Cataldo”», ha spiegato alla pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, Cecilia Vassena. La confidenza sarebbe avvenuta un paio di giorni dopo il delitto di Legnano, per il quale sono stati già condannati in via definitiva all’ergastolo il boss della locale di Legnano e Lonate Pozzolo Vincenzo Rispoli (cugino di Vincenzo Farao) e i capicosca di Cirò Marina Cataldo Marincola e Silvio Farao. Rispondendo alle domande dei due difensori di Farao, gli avvocati Michele D’Agostino e Gianni Russano, Gaetano Aloe ha raccontato un dettaglio inedito: «In carcere parlai con Vittorio Farao (figlio del boss Silvio) e mi riferì che Vincenzo Farao avrebbe manifestato preoccupazione dopo aver saputo che suo fratello, Francesco Aloe, si era pentito: “Non è che va poi a parlare anche delle cose di Milano?”, avrebbe detto». Il collaboratore, secondo il quale Cataldo Aloisio sarebbe stato il responsabile della “sparizione” di Isabella Costantino avvenuta a Cirò Marina nell’estate del 2000, ha poi aggiunto un ulteriore particolare inedito: «Mio cognato, Martino Cariati, mi fece sapere che Vincenzo Farao voleva parlarmi. E così è successo…».
Il 29 maggio si terrà la prossima udienza del processo d’appello bis che, oltre a Vincenzo Farao, vede imputato anche Francesco Cicino.
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