L’INTERVISTA
Legnano, Cozzi: «Qui abbiamo perso tutti»
L’ex sindaco a tutto campo dopo l’assoluzione in Appello

«L’altro giorno rileggevo un’intervista a Raffaele Della Valle, l’avvocato che difese Enzo Tortora. Il senso era che ogni governo che arriva al potere affronta il nodo della giustizia e propone norme e correttivi per limitare la possibilità di errori giudiziari. Ma il problema non sono le leggi, sono le persone: se manca la cultura giudiziaria della presunzione di non colpevolezza, se non sai che un indizio per essere tale deve essere concreto e riscontrabile e se soprattutto manca l’umiltà, che è la più grande dote di un buon magistrato, ecco che si creano i presupposti per l’errore giudiziario. E questo è stato esattamente il mio caso».
Maurizio Cozzi siede al tavolo riunioni del suo studio in via della Vittoria. Nella mano sinistra tiene un sigaro, la destra gioca con un accendino. Cinque anni fa in questi giorni Legnano si divideva in due fazioni che non hanno ancora smesso di accusarsi, a maggio poi arrivarono gli arresti nell’ambito dell’indagine Piazza Pulita della Procura di Busto. Cozzi si fece 40 giorni di carcere e sei mesi ai domiciliari, lo scorso gennaio la Corte d’appello di Milano ha ribaltato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, assolvendo lui, l’ex sindaco Giambattista Fratus e l’ex assessore Chiara Lazzarini dalle accuse di aver manipolato delle gare per nominare persone di fiducia e consolidare così il loro sistema di potere.
Oggi, Maurizio Cozzi ha 68 anni ed è una persona molto diversa dal ragazzo un po’ impacciato che nel lontano 1997 era diventato sindaco battendo al primo turno un avversario sgamato come l’ex preside dell’Istituto Dell’Acqua Salvatore Forte.
Avvocato, quale è stato il momento più duro?
«Quando mi hanno messo le manette e mi hanno portato in tribunale per l’interrogatorio di garanzia. In quei momenti perdi la dignità, perdi il rispetto di te stesso. È difficile spiegare cosa può provare una persona in una situazione del genere, sono cose che un uomo non può dimenticare».
La sentenza d’appello ha dimostrato la sua innocenza...
«Guardi, adesso la gente mi ferma per strada e mi fa i complimenti, mi chiede se sono contento... Ma qui non c’è niente da essere contenti. Io continuo a provare una grande amarezza, ho dentro una grande tristezza. Non posso fare finta che alla fine sia andato tutto bene: ho ottenuto giustizia, certo, ma non avevo fatto nulla. Ancora mi chiedo come sia potuto accadere quello che è accaduto. La verità è che io non ho vinto: in questa storia hanno perso tutti. Quanto successo mi ha segnato per sempre nel morale e nel fisico, e quello che più mi dispiace è che ha segnato per sempre anche le persone a me è più care, quelle che mi stanno vicine. Se penso a quello che mi è capitato, mi viene soltanto voglia di andarmene da questo Paese».
Che idea si è fatto di quello che è successo a lei, Fratus e Lazzarini?
«Un’idea me la sarei anche fatta, ma preferisco tenermela per me. Era evidente fin dal primo giorno che contro di noi non c’era nulla, ma ormai la macchina era stata messa in moto ed era chiaro a tutti che il processo a Busto sarebbe finito con una condanna. A Milano la Corte d’appello non ha potuto fare altro che prendere atto di come davvero stavano le cose. L’assoluzione era la sola conclusione logicamente possibile».
Avrebbe potuto patteggiare e chiudere prima tutta questa storia...
«Ma se non avevo fatto nulla! Certo, io avevo i mezzi per resistere nei due gradi di giudizio. Forse un altra persona sarebbe stata costretta a una scelta diversa, ma questo rende solo ancor più grave quello che mi è capitato. Perché la verità è che se non avessi potuto permettermi di resistere, alla fine sarebbe passata la tesi della Procura di Busto».
Chiederà i danni per l’ingiusta detenzione?
«Non ci ho ancora pensato, oggi questo è l’ultimo dei miei problemi. Spero solo di lasciarmi alle spalle questa storia una volta per tutte, anche se in fondo so che non ci riuscirò mai per davvero...».
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