OSPEDALE
Il Pronto Soccorso e i “miracoli” di medici e infermieri
L’esperienza diretta a Legnano: otto ore di attesa, ma più che giustificate

Martedì scorso La Prealpina aveva pubblicato il bilancio degli accessi al Pronto Soccorso dell’ospedale di Legnano: numeri da record, che a detta dell’azienda giustificano attese di quattro, cinque ore per i codici che non richiedono particolare urgenza. Manco a farlo apposta, giovedì mi è capitato di sperimentare la situazione sul campo. Di ore di attesa ne ho fatte 8, ma quello che ho visto le giustificava tutte. Perché dopo aver provato la situazione sulla mia pelle, la conclusione è che medici, infermieri e operatori fanno davvero miracoli.
ACCETTAZIONE ALLE 9.18
Accettazione alle 9.18, raccolte le informazioni di base l’infermiere al triage mi fa accomodare subito in saletta e prende i parametri di base: i valori sono sballati, ma non da far temere un rischio di vita. «Prenda il numero, la chiamiamo noi. Se peggiora, ce lo dica». Alle 9.20 sono in sala d’attesa, pronto ad aspettare tre o quattro ore. Ma da quel momento, davanti al banco dell’accettazione comincia a sfilare di tutto: le emergenze vanno per ondate, seguendo le fasi della giornata.
GLI INCIDENTI SUL LAVORO
Fino alle 11 arrivano giovani e meno giovani coinvolti in incidenti sul lavoro: l’uomo che stava potando un albero ed è caduto per terra picchiando la schiena, il ragazzo che si è ferito a un dito con une fresatrice, quello che si è tagliato mentre manovrava una lastra di vetro. Ciascuno viene visitato subito, a ciascuno viene assegnato un codice. C’è chi aspetta più e chi aspetta meno, alla fine mi passano tutti davanti. Ma ci mancherebbe altro.
TANTISSIMI RAGAZZI
Dopo gli incidenti sul lavoro, iniziano gli infortuni a scuola: sorprendente il numero di ragazzini che nella mattinata passano dal pronto soccorso: c’è la ragazza che ha preso una storta alla caviglia, il ragazzo che è caduto nel corridoio e ha picchiato la testa, il bambino che si è slogato una spalla nell’ora di ginnastica. E poi la ragazzina che non smette di vomitare e si aggrappa al cestino della spazzatura, un’altra piegata in due dal dolore. A un certo punto arriva un uomo che spinge su una carrozzina un ragazzo che avrà vent’anni: improvvisamente ha smesso di muovere una gamba e non ci vede più da uno occhio. Verso mezzogiorno è poi il momento degli infortuni domestici: chi si è ferito con un coltello, chi con un tritaverdure.
GLI STRESSATI E LE URLA
Nel pomeriggio invece cominciano ad arrivare giovani e meno giovani con problemi di pressione e battiti cardiaci alle stelle: per qualcuno è solo stress, due gocce di tranquillante e sono rispediti a casa. Altri, come il sottoscritto, sono invitati ad aspettare. Nel frattempo è un continuo presentarsi di anziani con le difficoltà più disparate: a uno si sono gonfiate improvvisamente le gambe, l’altro ha trovato sangue nell’urina, un terzo ha problemi agli occhi. Tutti sono stati spediti al pronto soccorso dal loro medico. Alle 12 il tabellone indica 13 pazienti in attesa e 73 in trattamento, tra i quali 3 in pericolo di vita e 30 le cui condizioni sono classificate come urgenze indifferibili. In un paio di occasioni qualcuno alza la voce, sono soprattutto parenti che non hanno notizie dei loro cari che al pronto soccorso si sono presentati due, anche tre giorni prima. Solo uno chiede di parlare con il responsabile, i toni del confronto sono abbastanza accesi. Chi si è posto in maniera un po’ brusca alla fine è accontentato, così come chi ha chiesto senza alzare la voce. Ovunque cartelli invitano al rispetto, mentre le volontarie chiedono continuamente se qualcuno ha bisogno e le guardie armate dell’istituto di vigilanza privata si fanno vedere spesso. Alle 17.18, dopo 8 ore esatte di attesa, arriva il mio turno.
IL GIRONE INFERNALE
Appena la porta della sala Medicina si chiude alle mie spalle l’impressione è quella di essere capitato in un girone infernale: un uomo russa rumorosamente su una barella addossata al muro, buona parte degli studenti visitati in mattinata è su sedie a rotelle parcheggiate davanti alla sala Gessi. Un’anziana delira ad alta voce: mentre è sdraiata sulla barella grida che non ce la fa più a salire così in alto, vuole scendere. Le postazioni sono tutte occupate, i pazienti meno gravi sono sulle barelle parcheggiate nei corridoi. Non c’è un solo metro quadrato inutilizzato, tra i continui “bip” dei monitor medici e infermieri non smettono un secondo di correre.
TUTTI CHE CORRONO
Corrono letteralmente: attaccano la flebo a uno e intanto fanno il cardiogramma a un altro, aiutano l’anziano che sta litigando con la maschera a ossigeno, controllano i parametri della vecchina che raggomitolata su se stessa è immobile da un po’. I valori sono ancora alti, anche a me tocca una flebo. Una postazione si libera, l’impressione è di rubare posto a chi ne ha più bisogno. Ma la flebo da seduto in questi condizioni non si può proprio fare. Nei venti minuti successivi due pazienti vengono trasferiti in reparto, finalmente per loro si è trovato posto. Altri due sono dimessi: uno aspettava da due giorni, quando l’infermiera gli dice che prima di lasciarlo andare deve confrontarsi con il medico parte con una sequela di bestemmie da far impallidire quella buonanima di Germano Mosconi, ma nel giro di dieci minuti anche quella situazione è risolta.
DI NOTTE E’ PEGGIO
Ma la notte va meglio o è sempre così? Di notte è uguale, ci spiegano, solo che il personale è ridotto... Dopo meno di un’ora arrivano i risultati degli esami, tutto a posto. Il consulto dura cinque minuti, senza perdere un secondo un medico sveglissimo e serissimo si fa un’idea della situazione e prescrive la terapia giusta, poi avanti il prossimo. Un’infermiera mi leva l’ago dal braccio mentre sto in piedi, lì nel corridoio. È talmente brava che non me ne accordo neanche. È difficile credere che possano tenere questo ritmo per un intero turno, prima o poi dovranno fermarsi un minuto anche loro...
SENZA TREGUA
Invece no, in dieci ore che sono stato al pronto soccorso nessuno si è mai fermato un secondo: è cambiato il turno, ma chi è uscito è uscito correndo, e chi è entrato è entrato correndo. Sono le 19.30, mentre mi avvio all’uscita un’infermiera avvisa che tra i parenti in sala d’attesa non ce ne sono di disposti a dare una mano ai pazienti a mangiare. Un altro problema da affrontare, in attesa di una notte che già si annuncia lunghissima.
© Riproduzione Riservata