LA PRESENTAZIONE
Lidia Poët, un esempio di emancipazione femminile
La storia della prima donna italiana a divenire avvocata nel libro di Cristina Ricci presentato al bar “Al posto giusto” di Busto Arsizio

“Ero nata per studiare, e non ho mai fatto altro. Fu un male o un bene? Non lo so ma sento che se rinascessi tornerei daccapo”. Parole di Lidia Poët, prima italiana a divenire avvocata. Protagonista, mercoledì 26 febbraio, di un evento formativo per i legali al bar Al posto giusto di Busto Arsizio, di fronte al Palazzo di Giustizia. Qui la scrittrice Cristina Ricci ha presentato il suo libro Lidia Poët, vita e battaglie della prima Avvocata italiana pioniera dell’emancipazione femminile.
L’incontro è stato organizzato dal Sindacato Avvocati Busto Arsizio con la Libreria del Tribunale. Per il primo sono intervenuti il presidente Andrea Tomasini e la segretaria Valentina Borroni, quest’ultima in veste di moderatrice, che ha ricordato: «Nel nostro foro ci sono ormai più donne che uomini ma la parità non è ancora raggiunta, soprattutto a livello retributivo». Un’occasione per ripercorrere il tema dell’emancipazione femminile attraverso la vita di Poët, nata nel 1855 in Val Germanasca da una famiglia valdese: «I valdesi, dopo essere stati perseguitati, avevano ottenuto l’emancipazione nel 1848, pochi anni prima della sua nascita – ha sottolineato Ricci –. Ciò influì sulla sua formazione: sapeva che prima o poi anche per le donne sarebbe successo lo stesso, non rimase alla finestra ad aspettare che le cose cambiassero». L’autrice ha ricordato come Poët avesse avuto la possibilità di iscriversi all’università di Torino, sostenuta dalla famiglia. Dopo la laurea in giurisprudenza e il praticantato nello studio del senatore Cesare Bertea, l’iscrizione all’Ordine e la successiva esclusione con una sentenza della Corte d’appello torinese, confermata dalla Cassazione: oltre a questioni legislative come l’esclusione delle donne dalle professioni, ma non solo. «Tra le motivazioni il fatto che fosse considerato disdicevole accostare la toga agli abbigliamenti bizzarri della donna o perché la bellezza della fanciulla avrebbe imbarazzato il giudice. La tennero fuori dalle aule dei tribunali. In un certo senso per fortuna, per quello che fece poi fuori». Già nel 1885 Poët era infatti in prima linea partecipando con un ruolo di primo piano in congressi penitenziari internazionali: «Tenne conferenze sul problema dei bambini giudicati come adulti, perorando tribunali per i minori. Voleva portare gli spettacoli teatrali nelle carceri per i detenuti. Quando fu fondato il Comitato delle donne italiane a inizio Novecento fu tra le prime iscritte, condusse battaglie per il diritto di voto femminile e per il divorzio. Propose anche una sorta di servizio civile per le donne». Nel 1820 le fu finalmente concesso di iscriversi nuovamente all’Ordine, ma era ormai sessantacinquenne: «Si vide distruggere tutti i propri sogni ma non smise di credere nelle sue convinzioni, continuando a portarle avanti».
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