L’INTERVISTA
Lidia, Yara: i reperti perduti
Casi d’incuria raccontati dall’ex magistrato Salvini

«È arrivato il momento che il legislatore preveda norme più stringenti e specifiche per la conservazione obbligatoria dei reperti dei delitti più gravi: tanto degli omicidi quanto delle stragi. Una conservazione rigorosa in appositi locali separati e dotati di cassaforte o in strutture ambientalmente idonee ad evitarne il degrado, il cui accesso sia autorizzato da due magistrati personalmente responsabili della custodia». A lanciare la proposta è Guido Salvini, magistrato in pensione dal dicembre scorso, che a Milano, prima come giudice istruttore e poi come giudice per le indagini preliminari, si è occupato di inchieste che fanno ormai parte della storia giudiziaria italiana.
Una per tutte l’indagine sulla strage di piazza Fontana che ha consentito di dare una paternità storico-giudiziaria all’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano del 12 dicembre del 1969. Al fianco di Guido Salvini, in quella che definisce una proposta di «civiltà giuridica», anche il criminologo e ricercatore Alberto Miatello. Mai più casi come quello legato alla gestione dei reperti del delitto di Lidia Macchi, dunque. Ricordiamo quanto è accaduto nel palazzo di piazza Cacciatori delle Alpi a Varese, uno degli esempi più eclatanti nei quali l’incuria e una gestione dei reperti al quanto approssimativa ha permesso gravi sparizioni o deterioramenti di corpi di reato sotto custodia.
Quelle 54 provette deteriorate
Non solo Lidia Macchi. Si pensi al al delitto di Yara Gambirasio: Salvini ricorda come i difensori di Massimo Bossetti hanno denunciato la pm di Bergamo Letizia Ruggeri per avere disposto il trasferimento delle 54 provette con il Dna presente sugli abiti della vittima dai laboratori dell’ospedale San Raffaele di Milano, dove erano conservate a 80 gradi sottozero per mantenerne l’integrità, ai locali dell’Ufficio Corpi di reato del Tribunale del capoluogo orobico, dove sono state tenute a temperatura ambiente, causando l’irreparabile deterioramento del materiale biologico. Va da sé, i difensori di Bossetti hanno il sacrosanto diritto di stigmatizzare l’incuria irreparabile per quelle provette. Altri casi rievocati da Salvini, li ha trattati direttamente quando era gip del Tribunale di Milano: «Inutile dire che quando riaprimmo le indagini su piazza Fontana di tutti i reperti, compresi quelli con le tracce di esplosivo che si potevano esaminare alla luce delle nuove emergenze, non c’era più traccia».
Otto proiettili scomparsi
«Peraltro, sarà praticamente impossibile arrivare anche a una riapertura delle indagini sull’omicidio, rimasto senza colpevoli, di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, i due diciottenni caduti in un agguato il 18 marzo 1978 nei pressi del Centro sociale milanese Leoncavallo», aggiunge. «La scomparsa dei reperti, in primo luogo gli otto proiettili esplosi da una Beretta 34 svaniti nel nulla, vanifica gli accertamenti tecnici, come consulenze balistiche e genetiche, in grado di offrire oggi con le tecniche più recenti elementi nuovi rispetto alle piste già esplorate nel corso di decenni di indagini. Non ci sono le condizioni per effettuare una perizia comparativa fra i proiettili dell’esecuzione di Fausto e Iaio e quelli esplosi negli agguati simili avvenuti in quel periodo a Roma. E lo stesso discorso vale per le pistole e i proiettili sequestrati a Roma che potevano servire per comparazioni per gli omicidi del giornalista Mino Pecorelli e di Piersanti Mattarella, due delitti eccellenti degli anni Settanta».
Uffici come “terre di nessuno”
«Il problema della salvaguardia delle prove dei delitti nei processi penali nel nostro Paese è assurdamente negletto e gli uffici corpi di reato appaiono vere e proprie “terre di nessuno”, nelle quali i reperti sono spesso accatastati alla rinfusa, in stato di incuria e senza distinzione tra delitti gravi e furti di biciclette», insiste l’ex gip milanese. «Tutto è spesso lasciato all’iniziativa del singolo cancelliere e Il problema è gravissimo, perché la buona conservazione di reperti e documenti dei delitti può risultare determinante nell’accertamento dei fatti e nella soluzione dei casi. Eppure, sembra non interessare più di tanto». Nella proposta di riforma nella gestione dei reperti, magistrato e criminologo ipotizzano che «le autorizzazioni all’accesso ai reperti dovrebbero essere verbalizzate, per identificare i soggetti che li utilizzano, motivazione, e previa autorizzazione anche per la durata dell’accesso ai reperti e conferma della loro integrità alla consegna».
Così facendo, «si porrebbe finalmente rimedio al problema della sparizione e del deterioramento dei reperti e degli atti dei delitti più gravi». Reperti che, se conservati con cura, anche a distanza di decenni possono “continuare a parlare” e, grazie alla scienza, possono rivelarsi la chiave per trovare una soluzione.
«Ormai sono molti i casi in cui indagini genetiche, papillari e balistiche hanno consentito di riaprire vecchie vicende che sembravano destinate all’oblio», conclude Salvini: «Qualche volta c’è un colpo di fortuna. Come nella vicenda giudiziaria che ha fatto luce sul delitto di Cristina Mazzotti, la ragazza sequestrata ad Appiano Gentile e poi uccisa nel Novarese nel 1975: solo pochi anni fa è stata rilevata sull’auto da cui la giovane era stata prelevata l’impronta di uno dei sequestratori e proprio lui, assieme ad altri tre personaggi della ‘ndrangheta a lui legati, proprio in questi mesi sono sotto processo davanti ai giudici della Corte d’Assise di Como. Tuttavia, vicende simili non possono essere affidate al caso, serve una regolamentazione precisa».
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