KRIMISA
«L’abbiamo eletto e parla di ‘ndrangheta»
Depositate le motivazioni della sentenza: nelle intercettazioni lo sfogo contro l’ex sindaco Danilo Rivolta

«Prima lo abbiamo messo su come sindaco e poi è andato a dire che c’è la ‘ndrangheta»: è lo sfogo captato dalle intercettazioni tra due degli elementi di spicco della cosca lonatese. Che si riferivano all’ex sindaco Danilo Rivolta, a riconferma della capillare infiltrazione della criminalità organizzata nella politica del territorio. Si legge nelle 174 pagine di motivazioni della sentenza del processo Krimisa, depositate dal presidente del collegio giudicante Rossella Ferrazzi alla vigilia di Natale.
Il giudice istituisce alcuni parallelismi tra ciò che accadeva prima dell’operazione Bad Boys, quando i malviventi ancora si sparavano per strada, e il quadro che si stava ridefinendo dopo la scarcerazione degli storici ‘ndranghetisti. Emanuele De Castro (oggi collaboratore di giustizia), Mario Filippelli e il capo della locale di Cirò Marina Vincenzo Rispoli si erano già riorganizzati. Anche nel settore delle istituzioni. «Nella sentenza Bad Boys venivano accertati episodi corruttivi con dazioni di denaro a favore di consiglieri comunali. Emergeva soprattutto il coinvolgimento dell’architetto dell’ufficio Tecnico Orietta Liccati alla quale De Castro aveva consegnato una tangente di 110mila euro. Anche nell’attualità - scrive il presidente - venivano confermati legami tra la consorteria e gli amministratori pubblici».
Cataldo Casoppero, elenca la sentenza, aveva un pacchetto consistente di voti dei calabresi da convogliare su Francesca De Novara (nipote del capo clan Alfonso Murano assassinato a gennaio del 2005 a Ferno). Di appoggi aveva beneficiato anche l’ex assessore Antonio Patera, ma l’apoteosi di tutti i collegamenti tra Stato e mafia è Enzo Misiano, consigliere comunale di Ferno in quota Fratelli d’Italia e centralinista del Comune di Lonate, l’uomo dal peso politico così consistente da poter estromettere Nino Caianiello dai giochi elettorali.
Riepilogando, il 25 settembre il collegio aveva condannato Casoppero a quattordici anni più tre di libertà vigilata a espiazione pena, Cristoforo De Novara a otto anni, Antonio De Novara a sei, Sandra Merte e il compagno Giandomenico Santoro a due anni e mezzo. Assolto Giampaolo Laudani e non luogo a procedere per Giuseppe Rispoli. Nella sentenza si parla per i testi ascoltati in aula, di reticenza se non omertà. Si tratta di Francesco Benevento, Carmine Benevento, Francesco Murano, Barbara Geracitano, Massimiliano Geracitano, Dorotea Siutkowska, Beatrice Bellini, Marco Pozzi e Alessandro Pozzi per il reato di falsa testimonianza. «La quasi totalità dei testi si è mostrata reticente, anche quelli di minor peso e a distanza di tempo, tutti manifestano evidente paura di raccontare quanto a loro conoscenza. Ciò evidenzia la radicale infiltrazione della ‘ndrangheta nel tessuto sociale e il suo perdurante potere intimidatorio».
L’avvocato Alberto Arrigoni, che in dibattimento difende Casoppero, ossia l’imputato condannato alla pena più pesante, è comunque sereno: «Le sentenze si rispettano, ma dopo aver letto le motivazioni credo ci sia ampia possibilità di muovere critiche nel ricorso in appello perché ho trovato un vuoto motivazionale sia in fatto che in diritto».
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