RICHIESTA DELLA PROCURA
Maccagno: lavori post alluvione, 13 nei guai
Dal sindaco alla Commissione Paesaggio, accusa di abuso d’ufficio

Tredici persone, dal sindaco ai funzionari della Soprintendenza, rischiano il processo per i lavori eseguiti nel torrente Giona dopo l’alluvione del novembre 2014. Torrente la cui pericolosità è stata più volte segnala in questi anni.
La Procura della Repubblica di Varese ha infatti chiesto il rinvio a giudizio degli indagati, con accuse che vanno dall’abuso d’ufficio alla gestione non autorizzata di rifiuti, fino al deturpamento di bellezze naturali.
Una vicenda giudiziaria che si trascina da oltre cinque anni e che ieri è approdata nell’ufficio del gup Alessandro Chionna. Ma il pubblico ministero Luca Petrucci, che ha ereditato il fascicolo dalla collega Annalisa Palomba (nel frattempo trasferita a Verbania), ha chiesto un rinvio per approfondire alcuni aspetti e studiare le memorie presentate dai difensori. Se ne riparlerà, dunque, il 7 dicembre. Quando il collegio difensivo (composto, tra gli altri, dagli avvocati Paolo Bossi, Andrea e Gianfranco Orelli, Simona Bettiati e Andrea Volonteri) contesterà la ricostruzione dell’accusa, ribadendo che quei lavori, effettuati “in somma urgenza”, furono eseguiti nel rispetto delle regole, a tutela dell’incolumità pubblica di fronte all’enorme mole di detriti accumulatasi nel fiume.
I REATI IPOTIZZATI Diversi, invece, i reati ipotizzati dalla Procura. Il sindaco Fabio Passera, insieme con un geometra comunale e i titolari della ditta che eseguì i lavori, devono ad esempio rispondere di attività di gestione di rifiuti non autorizzata - punita dal decreto legislativo del 2006 “Norme in materia ambientale” - per aver ricollocato, fuori dall’alveo del Giona e lungo le rive del lago, i “litoidi” (circa 30mila metri cubi di pietre) frutto dell’escavazione effettuata d’urgenza nel letto del fiume. Detriti considerati rifiuti speciali, spostati e abbandonati in area demaniale. Quel materiale “di risulta” dai lavori di scavo per la messa in sicurezza dell’ultimo tratto del Giona - sostiene l’accusa - fu poi ricollocato sulle rive del Verbano, alterandole, senza autorizzazione paesaggistica. Il provvedimento di compatibilità paesaggistica venne rilasciato dalla Provincia nel 2016, ma per la Procura quell’atto è «illegittimo», in quanto «non emanabile in presenza di lavori che abbiano determinato volume e superficie utile». E, sempre senza autorizzazione, quel materiale di scavo sarebbe stato usato per realizzare una nuova scogliera nei pressi del centro velico di Maccagno. La “risagomatura” della sponda del lago, dopo la fine dell’alluvione e la messa in sicurezza del fiume, ha portato poi alla contestazione del reato di distruzione o deturpamento di bellezze naturali (imputato al sindaco, al geometra e all’impresario edile). Per loro anche l’accusa di abuso d’ufficio per aver procurato un ingiusto profitto alle ditte a cui, «una volta cessata la somma urgenza», furono assegnati i lavori di ricollocazione dei detriti nel parco Giona e poi in riva al lago. Stessa accusa per il dirigente della Provincia, i cinque membri della Commissione Paesaggio e i due funzionari della Soprintendenza di Milano che diedero l’autorizzazione paesaggistica «postuma».
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