UCCISA NEL 2005
Matilda, non c’è un assassino
Matilda Borin a ventidue mesi venne ammazzata con un calcio che le spappolò gli organi interni.
Chi glielo dette? Nessuno. O forse un fantasma. Di certo non le due uniche persone che il 2 luglio del 2005 erano con la piccola nella villetta di Roasio, nel Vercellese. Venerdì 22 la corte d’assise d’appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado: Antonio Cangialosi è stato assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale. L’ex compagno di Elena Romani, mamma di Matilda, dopo la lettura della sentenza si è lasciato andare a un forte abbraccio con il suo avvocato Andrea Delmastro Delle Vedove. Che, durante l’arringa, aveva sottolineato: «Il cuore centrale del processo è la prova scientifica e contro la scienza e il razionale non si può andare. Condannare Cangialosi significherebbe condannarlo contro la scienza. Cangialosi ha raccontato la sua verità, risultata poi compatibile e coerente con quella scientifica: per questo quella verità vale doppio».
Elena, invece, non era in aula. Ha ascoltato la discussione dei suoi avvocati Tiberio Massironi e Roberto Scheda e poi ha lasciato il tribunale.
Non sarebbe riuscita emotivamente a sopportare il pronunciamento di assoluzione che già si poteva presagire. Anche perché, dopo essere stata assolta in tre gradi di giudizio dalla terribile accusa di aver ammazzato la sua bimba, Elena si è battuta per far riaprire il processo, per portare a galla la verità. «Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza, dopodiché faremo ricorso in cassazione», hanno commentato i legali con cui si è costituita parte civile.
«Il peccato originale di questa vicenda - hanno aggiunto - va ricercato all’inizio, nel non aver mandato a giudizio entrambi contemporaneamente».
Nell’ultima udienza il pg Marcello Tatangelo non aveva usato perifrasi dichiarando il fallimento della giustizia. «Oggi Matilda avrebbe quindici anni e non abbiamo certezze su chi l’abbia uccisa. È una sconfitta della giustizia. Ma sarebbe una sconfitta anche condannare un innocente per trovare a tutti i costi un colpevole». E aggiunse: «Se fossi in voi giudici non condannerei Cangialosi. Ma se fossi stato nei giudici degli altri processi non avrei condannato nemmeno Elena Romani». Conclusione, non ci sono colpevoli, l’assassino della bimba resterà senza un nome. Un caso paradossale, quasi unico in giurisprudenza. Sul quale probabilmente si esprimerà la cassazione.
© Riproduzione Riservata