L’INTERVISTA
Nicolò Maja: «Non odio mio padre ma non lo perdonerò»
Parla il ragazzo scampato alla strage di Samarate

Nicolò Maja è risoluto: il 17 febbraio andrà in aula a Busto Arsizio per guardare suo padre negli occhi. «Deve vedere cosa ha fatto, deve vedermi, deve rendersi conto». Non è semplice, per il ventiquattrenne, parlare di suo papà e di quello che ha fatto. Nicolò pondera ogni sillaba e riflette intensamente su ogni domanda. Ieri pomeriggio, a casa dei nonni, ha provato a forzare il suo riserbo e a spiegare cosa sia per lui oggi Alessandro Maja.
Nicolò, che cosa vorresti dire a tuo padre?
«Vorrei chiedergli il perché di quel massacro. Vorrei capire, deve darmi spiegazioni. Quando, in ospedale, lo staff medico mi spiegò cos’era successo io non volevo crederci, non potevo crederci. Se non potrò parlargli in udienza, prima o poi andrò in carcere ad affrontarlo».
Provi odio per lui?
«No, assolutamente. Ma sono molto arrabbiato. Non potrò mai perdonare quello che ha fatto. E non tanto a me, perché io sono fortunato, la mia famiglia ora sono i miei nonni e lo zio che si prodigano in ogni modo. Io non posso perdonargli di avere ucciso mia mamma e mia sorella».
Nicolò Maja non ha ricordi di quel che accadde all’alba del 4 maggio. Per lui è stata una lunga notte, iniziata poco dopo essersi coricato nella sua stanza al secondo piano della villetta di Samarate e durata fino al giorno in cui è uscito dal coma, spaesato, inconsapevole, confuso.
«Quando ancora non riuscivo a parlare guardavo sempre la porta della stanza in attesa di veder entrare i miei genitori. Non capivo perché non mi venissero a trovare. Scrivevo la M di mamma per avere risposte, per sapere cosa fosse successo. All’inizio non mi dissero nulla».
Dal carcere ogni tanto tuo padre ti scrive. Ha mai affrontato l’argomento?
«No. Solo una volta in conclusione di una lettera ha scritto che spera, un giorno, che io possa perdonarlo. Un’altra volta ha scritto che ha perdonato mia mamma per gli errori che ha commesso. Poi mi dà consigli sulla fisioterapia e dove farla. Al mio compleanno mi ha fatto avere un biglietto: “auguri, papy”. Mi fa effetto leggere quello che scrive, credo che nemmeno si renda conto di ciò che ha fatto».
Tuo padre ha distrutto una famiglia felice.
«Mi manca quella famiglia. Mi mancano le cose che facevamo insieme, il rapporto che avevamo. Se ripenso alla vita precedente il 4 maggio ho un grande amore per mio padre. Ma come ha scritto lui stesso ha distrutto una favola».
Nicolò, questa è una domanda cruda: avresti preferito che il suo tentativo di suicidio riuscisse?
«È una domanda a cui non so rispondere. Diciamo che se non ci fosse più sarebbe tutto più semplice».
Ti sei fatto un’idea di ciò che lo abbia portato a uccidere le persone che amava?
«Mio papà è rimasto intrappolato in un labirinto mentale fatto di fissazioni e di angoscia che si è costruito da solo. Negli ultimi mesi era ossessionato da una eventuale causa che avrebbe potuto intentargli la proprietà di un locale per cui aveva redatto un progetto. C’era stato un errore e lui temeva di cadere in disgrazia. Chiamava continuamente l’avvocato per avere rassicurazioni, si rivolgeva ai commercialisti, non aveva più pace. Aveva paura di non poterci più garantire gli standard e la qualità di vita che ci aveva sempre dato. Era pessimista di indole. Mia mamma ha cercato di dargli coraggio...».
Immagini un futuro in cui recupererai il rapporto con tuo padre?
«Anche questa è una domanda a cui non so dare una risposta. Non so se mai lo vorrò e non so neppure se ne sarei in grado».
Oggi, se l’avessi accanto, avresti paura di tuo padre?
«No, per niente. Lui è una persona mite, non è pericoloso, non lo è mai stato. Ciò che ha fatto non è stato dettato da cattiveria o crudeltà. Sull’entità della pena non so esprimermi, ma se prendesse l’ergastolo non lo riterrei ingiusto».
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