L'INTERVISTA
"Non ce l'ho col pm"
Giuseppe Orsi, 83 giorni in carcere si racconta: colpito da "fuoco amico". L'Agusta? Resta forte

Giuseppe Orsi gran corruttore internazionale?
Niente e così sia.
Non ha mai pagato una tangente alla Lega Nord in cambio della sua nomina ai vertice della Finmeccanica, non ha mai unto le ruote dello stato maggiore indiano per vendere al governo di New Delhi dodici elicotteri Agusta.
Niente e così sia.
Un'accusa era stata archiviata prima della fine del processo, la seconda si è dissolta nella sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, il 9 ottobre scorso. In compenso il manager si è fatto 83 giorni di carcere preventivo. Capita a molti. E quando tocca a un vip, si capisce, c'è più rumore.
Ma oggi l'uomo ferito non punta il dito contro il pubblico ministero Eugenio Fusco. Dice anzi che non è stato lui a rovinarlo.
Sa benissimo che lo ha incastrato un ex di Finmeccanica. Fuoco amico. E sa che abitando a Sesto Calende, avendo avuto incontri istituzionali con Roberto Maroni, allora ministro dell'Interno, chiunque avrebbe potuto confezionare una bufala mirata.
Questa: lo hanno aiutato a far carriera quelli del Carroccio e lui, sotto banco, li ha ricompensati.
Giorgio Brazzelli, grand commis dell'industria aeronautica nazionale (Agusta, Piaggio, Aermacchi, ancora Agusta) si era sbilanciato coraggiosamente con la Prealpina il 23 maggio 2012 quando Orsi era indagato a piede libero: "Non è da Orsi fare cose simili, lo conosco bene. Il vero bersaglio non è lui, ma l'Agusta che con le sue eccellenze crea gelosie. Anche in quanti non ne dovrebbero provare".
Orsi è ritornato nella sua Sesto.
Pranzo domenicale in famiglia vicino al punto in cui, nel 1859, sbarcò Garibaldi con i suoi Cacciatori delle Alpi per marciare su Biumo e affrontare gli austriaci invasori.
Si compiva il Risorgimento. Cinquantatré anni dopo, anche per un personaggio pubblico arrestato, giudicato, assolto dall'accusa che più contava?
Le risposte sono in questa intervista.
Un ingegnere che viveva negli hotel a cinque stelle tra America e Asia chiuso improvvisamente in una stanzetta di quattro metri per due e mezzo. Immaginiamo lo sconforto. Ma parliamo delle altre vittime: l'Agusta, gioiello dell'industria italiana, migliaia di posti di lavoro, e l'immagine di Finmeccanica, quindi del Paese. Che cosa resta sotto le macerie?
"A parte la mia persona per quei giorni terribili, spero poco. Agusta Westland sarà sempre leader nel mondo del volo verticale. Ha prodotti innovativi e eccellenti, una capacità ingegneristica ineguagliabile, processi e impianti produttivi di prim'ordine, una forza lavoro giovane, preparata e motivata. Sarà sufficiente muoversi in continuità rispetto a quanto è stato fatto negli ultimi quindici anni. Io ci credo".
I cinesi a Milano hanno annunciarto un investimento di 400 milioni per comprare elicotteri Agusta. Ma la commessa indiana è persa per sempre?
"La Cina è sempre stata considerata da Cascina Costa mercato strategico. Abbiamo venduto il primo 109 nel 1995 al sindaco di Dalian e dal quel momento, pur misurandoci con la lentezza e le difficoltà del Paese, abbiamo continuato a progredire. In Cina abbiamo anche aperto una fabbrica in joint venture con AVIC per la costruzione del 109 e ricordiamo che all' apertura delle Olimpiadi del 2008 ha volato un 139 della polizia di Pechino. Questo nuovo ordine è la conferma che nei Paesi strategici si deve investire con razionale coraggio guardando non al ritorno immediato ma in ottica di medio-lungo periodo. Poi i risultati arrivano.
Per quanto riguarda l'India sono convinto che il management di Agusta Westland sarà in grado di ben rappresentare quanto è avvenuto al Tribunale di Busto e quindi di riportarsi a casa il contratto, essendo venute meno le ragioni per cui era stato ingiustamente sospeso".
Negli anni '90 Agusta era un cadavere che camminava. Spolpata da una cattiva gestione. C'è stata un'isperata rinascita che porta il nome di Caporaletti. Ma l'ad di allora ci disse una volta in una intervista che il merito doveva essere diviso con un formidabile venditore internazionale, Giuseppe Orsi. Come ricorda quei tempi?
"Intanto vorrei precisare che i nostri successi, all'interno e all'esterno, sono stati possibili solo grazie ai team di collaboratori di cui ci siamo circondati. Capaci, motivati, dedicati completamente a un obiettivo solo: riportare Agusta al centro del mercato elicotteristico internazionale, da cui si era allontanata negli anni ottanta, attraverso nuovi prodotti e rinnovata credibilità. A Farborough 1998 il rientro fu sancito da un accordo con Bell che decretava: Agusta is back on the radar screen of the industry, at the center of the screen (Agusta è tornata sullo schermo radar dell'industria e ci è tornata al centro, ndr). C'è stato un grande gioco di squadra della quale, Caporaletti prima e Spagnolini poi, sono stati nel tempo capitani carismatici. Ora il capitano è Romiti, che per altro viene dal vivaio di AgustaWestland: sta a lui continuarne la
crescita".
Che importanza ha avuto prima sposarsi con la britannica Westland, poi acquisirla?
"E' stato un passo fondamentale per dare a Cascina Costa un ruolo di grande player internazionale e per farla diventare domestica nel Regno Unito".
Agusta aveva vinto il concorso per costruire ed equipaggiare l'elicottero del presidente degli Stati Uniti, l'Ariforce One a pale rotanti. Com'è finita?
"Relativamente bene. Il contratto lo abbiamo eseguito on time on cost con la consegna dodici elicotteri ordinati. La visibilità ricevuta da quel programma è stata ben spesa sul mercato. La non realizzazione della fase due ci ha indubbiamente privato di un ulteriore possibile contratto, che tuttavia avrebbe riguardato un progetto gestito completamente da Lockheed Martin e difficilmente estensibile ad altre realtà nel mondo".
In un'intervista rilasciata quando lei era sotto inchiesta, prima dell'arresto, Giorgio Brazzelli gettò il cuore oltre l'ostacolo: Orsi è una brava persona, non un corruttore. E aggiunse: l'Agusta è come un centravanti lanciato verso la porta avversario, per fermarlo bisogna metterlo a terra. Gelosie industriali insomma. Condivide?
"Atterrare un centravanti in area comporta poi un rigore e quasi sempre il gol. Mi auguro che da questo fallo in area scaturisca una vantaggio grande per chi l'ha subito".
Agusta e Aermacchi enrambe a traino di Finmeccanica. Che cosa è cambiato e che cosa cambierà? Quale prezzo paga l'identità territoriale?
"Nulla cambierà, se il management saprà mantenere e sostenere con convinzione come necessarie le peculiarità di prodotto, business e mercato delle rispettive entità. Con Caporaletti, durante la crescita, siamo stati divisione e società di Finmeccanica: nessuno all'interno e all'esterno si è accorto della differenza. E l'identità territoriale, ovviamente in un contesto di internazionalizzazione, è stato preservato in entrambe le situazioni.Le radici nel territorio e le fronde nel mondo dicevamo a questo proposito. Nessun cambiamento organizzativo potrà mutare questa realtà. La provincia con le ali non può essere solo uno slogan: significa mantenere l'humus perchè lo sviluppo dell'industria aeronautica, in crescita in tutto il mondo, continui a trovare nel nostro territorio un ambiente favorevole allo sviluppo. E questo vale anche e soprattutto per l'indotto rappresentato da piccole - medie industrie che nel territorio si sono sviluppate e che devono continuare ad essere sostenute dal territorio nel loro processo di internazionalizzazione".
Cascina Costa, Vergiate, il centro di addestramento con i simulatori a Sesto Calende, una sorta di accademia del volo. Lei da presidente di Finmeccanica come aveva pensato di proteggere e sviluppare questo tesoro di competenze?
"Assicurando i necessari investimenti e garantendo attraverso la funzione di coordinamento e controllo propria della capogruppo la corretta esecuzione del piano strategico e del piano budget di cui sono responsabili le aziende, siano esse società o divisioni".
La telefonata che le ha fatto più piacere dopo il processo di Busto...
"Le tante ricevute prima della sentenza e tra queste l'invito a colazione in residenza da parte dell'ambasciatore inglese".
Ha pesato sulla sua vicenda, secondo lei, la storia dei due marò italiani trattenuti in India?
"Ritengo non ci sia stata alcuna connessione diretta tra i due fatti. Certo non avrà fatto piacere agli indiani, vedere il quartier generale della propria aeronautica, un mito per un miliardo di persone, essere accusato di corruzione da un Paese straniero. E per di più da un Paese dal quale provengono due militari indagati per l'uccisione di due pescatori indiani. Questi due episodi hanno toccato corde sensibili che hanno ovviamente condizionato le azioni del governo".
Lo hanno chiamato il Minotauro dei cieli: il convertiplano che si alza come un elicottero e vola come un jet e che lei ha fortemente voluto. A che punto siamo?
"Lo deve chiedere al management di Agusta Westland.. Non è più un problema di mia competenza".
E adesso che cosa farà Giuseppe Orsi? E dove?
"Mi occuperò delle Fondazione Pellegrini per assistere chi ha perso il lavoro (clicca qui per visitare il sito). Ne sono orgogliosamente ad e primo volontario. Mi sono sempre ripromesso che in pensione avrei dedicato parte del mio tempo buono (non solo ritagli) al sociale. E' un impegno che ho preso 49 anni fa a 1000 metri sotto terra e 6 metri all'interno di una taglia, nella miniera di Terte in Belgio dove con un gruppo di giovani, tra cui anche Rita che è poi diventata mia moglie, andavamo ogni anno ad assistere i minatori italiani ammalati di silicosi. Dove lavorerò? Posso rispondere che con un'altra domanda: ma l'Italia è proprio irrecuperabile e da rifuggire o è come l' Agusta del 1990 che un buon team con un grande leader è riuscita a rimettere in piedi? Se mi convincerò della seconda ipotesi, rimarrò a Sesto Calende e renderò disponibile la mia esperienza a chiunque possa trarne beneficio e contribuire così, anche da pensionato, al progresso dell'industria aerospaziale italiana".
© Riproduzione Riservata