L’ANALISI
«Nuovi scenari totalmente imprevedibili»
Intervista al docente dell’Insubria Antonio Maria Orecchia sulla situazione in Iran. «I Sunniti potrebbero accettare la caduta dei pasdaran, ma non si esclude la chiamata dei musulmani contro l’Occidente»

«Il problema è che non possiamo ammettere che la guerra sia finita. Basta guardare la prima pagina di oggi nel New York Times che dice che questa tregua annunciata poggia su basi molto fragili non credendo praticamente a Trump. Con queste premesse, può succedere di tutto». Antonio Maria Orecchia, docente di Storia contemporanea e Storia del giornalismo e direttore del Centro di ricerca Mass Media e Società all’Università degli Studi dell’Insubria, osserva la situazione in Medio Oriente. E sottolinea come la destabilizzazione dell’Iran nei termini in cui si sta delineando può aprire «a nuovi scenari totalmente imprevedibili». All’interno di una questione che si presenta molto complicata.
«Come è noto – aggiunge Orecchia - , il mondo sunnita non ama il mondo sciita e quindi magari i Paesi sunniti, tranne i pochi alleati dell’Iran, possono rimanere a osservare come procede la cosa. Ma contemporaneamente non possiamo escludere che l’attacco a un Paese musulmano non faccia riesplodere fenomeni di terrorismo fondamentalista, una nuova chiamata alle armi. Ma anche qui, non lo sappiamo: è tutto veramente in divenire».
Ma dal suo punto di vista come esce il Medio Oriente da questo conflitto e quali sono i nuovi equilibri dell’area?
«Il ragionamento che possiamo fare adesso è appunto provare a guardare queste ipotesi: da una parte può essere che il mondo sunnita non prenda così male l’eventuale caduta del regime dei pasdaran, ma contemporaneamente non si può escludere una nuova chiamata del mondo musulmano contro l’Occidente. Dall’altra bisogna capire eventualmente il nuovo ruolo di Israele perché è chiaro che a questo punto gli equilibri in Medio Oriente si spostano, ma bisogna capire anche che cosa accadrà con Israele. L’attacco all’Iran a mio parere è stato deciso, ammesso che non fosse già pronto da tempo, anche a fini interni da parte di Netanyahu per tornare a stringere attorno a sé il popolo israeliano. Sappiamo benissimo che ha problemi a livello interno e, se finisce la guerra, anche la sua carriera politica è finita e magari rischia di finire in galera visto quello di cui è accusato. E certamente, se attacchi l’Iran, i cittadini di Israele ti vengono dietro o comunque “distrai” dal problema che è Gaza. Io ritengo che l’attacco di Netanyahu abbia anche questa ricaduta: l’idea è che si era perfettamente reso conto che stava perdendo il favore anche delle opinioni pubbliche occidentali più ben disposte nei confronti di Israele. A fronte di quello che sta accadendo a casa il consenso dell’opinione pubblica era in crollo verticale e allora distrai e vai verso l’Iran che dalla rivoluzione del ‘79 di Khomeini dice di voler distruggere quella che non chiamano neanche Stato d’Israele, ma “entità sionista”».
Lei ci ha citato la prima pagina odierna del New York Times, ma gli Stati Uniti come ne escono dal punto di vita geopolitico e culturale?
«Dal punto di vista geopolitico questa è la riaffermazione della potenza degli Stati Uniti. Dalla metà degli Anni Novanta, da quando Paul Kennedy ha scritto “Ascesa e declino delle grandi potenze” si parlava di declino americano e questa è invece la risposta: un impero non declina così, anzi, gli Stati Uniti hanno dato una grande dimostrazione di grande forza. Dopodiché, facendo il caso dell’Europa occidentale, che il nostro principale alleato abbia deciso una operazione di tale gravità senza consultare gli alleati significa che l’idea di Trump è quella di una presidenza neoimperiale. A mio parere quello che Trump ha deciso tre giorni fa spiega perfettamente quello che era stato detto il 15 gennaio dal Segretario di Stato Marco Rubio, che l’ordine globale del dopoguerra è “obsoleto”, li penalizza e che si sentono tenuti a costruire un nuovo ordine mondiale. Che è politica di potenza: il più forte vince, le alleanze possono variare a prescindere dai valori di base».
E dunque, in sintesi, alleanze basate su cosa?
«Solo ed esclusivamente alleanze variabili e transitorie, basate su che cosa mi conviene, cosa ci guadagno, non più una visione del mondo come poteva essere quella di prima, quando ci si metteva insieme per difendere i valori di democrazia».
Come legge l’atteggiamento della Russia?
«Non pochi, e tra questi anch’io, temono che dietro l’attacco all’Iran ci sia uno scambio di Trump con Putin: tu non interferisci in Iran, io non interferisco con l’Ucraina. Molti, insomma, temono che dietro ci sia un baratto inconfessabile che però conviene a entrambi. Tant’è che Putin è stato abbastanza cauto, il suo ministro degli Esteri in tv ha continuato a sottolineare che l’alleanza con l’Iran non prevedeva l’intervento in guerra, ma solo che la potenza non attaccata avrebbe attivato canali diplomatici. E questo è ciò che ci dobbiamo aspettare dall’idea di costruzione del nuovo ordine geopolitico mondiale, basato sulla politica di potenza e che sembra stia nascendo. Dove il diritto internazionale sembra non contare più nulla. È certificato che l’attacco Usa, come quello di Israele, sono una gravissima violazione del diritto internazionale, ma è singolare che di questo si lamenti il ministro russo, dopo quello che la Russia ha fatto invadendo la Crimea e l’Ucraina. Ma il diritto internazionale è nato con l’Onu e dunque se il diritto internazionale non conta, allora non conta più neanche l’Onu. E la grande domanda è: è l’Onu che non riesce a imporsi o sono gli Stati che compongono l’Onu che non sono più interessati a un’idea di governo pacifico mondiale?»
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