LA SENTENZA
Criminali con base al circolino
Estorsioni, attentati incendiari, ricettazione: la banda dei Draghi controllava tutto

Un’organizzazione criminale potentissima e articolata in ruoli e gradi ben precisi.
Il suo quartier generale, però, non era un bunker o una villa protetta dalle guardie del corpo: gli imputati si trovavano soprattutto al Circolo Verdi di via Piave, defilato, ben rinomato e frequentato. La banda di Zio Gianni e del Moro, smantellata dal Commissariato di Busto Arsizio, dai tavolini di quel bar pianificava attentati incendiari, furti in grosse aziende, ricettazioni di merce prestigiosa, faceva falsi e decideva a chi estorcere sistematicamente denaro.
Il primo della lista era Marco Bedostri, titolare di un autolavaggio di Castellanza che a lungo subì le pressioni dei malviventi, cercando di anestetizzare l’angoscia con l’alcol.
Tutto ciò si legge nelle motivazioni della sentenza pronunciata dal collegio giudicante presieduto da Renata Peragallo il 20 maggio, depositate nei giorni scorsi.
Condanne pesanti quelle pronunciate tre mesi fa: a Giovanni Parlapiano (lo Zio) otto anni e quattro mesi di reclusione, a Francesco Caliandro tre anni e dieci mesi. Quattro anni e quattro mesi a Roberto Bianchi e quattro anni e dieci mesi ad Adriano Vanoli.
Il gruppo è stato inoltre condannato versare a Bedostri - costituito parte civile con l’avvocato Tiberio Massironi - 25mila euro per danni morali. Quelli materiali e patrimoniali dovranno essere quantificati in sede civile.
«Tra gli associati», scrive il giudice estensore Cristina Ceffa, «esiste una precisa e predeterminata distribuzione dei ruoli. Parlapiano è il capo indiscusso dell’associazione criminale, che impartisce gli ordini, soprattutto a Pinto, il suo luogotenente. Viene sistematicamente consultato prima della commissione dei reati, partecipa agli episodi estorsivi di maggior importanza in virtù della sua aura intimidatoria. Parlapiano è circondato da timore reverenziale oltre che da una diffusa deferenza da parte di tutti».
Sarà per questo che Bedostri sopportava in silenzio?
Non a detta sua. Non era il rispetto o il timore della caratura criminale di Zio Gianni a trattenerlo. Era l’affetto che lo legava a Coliandro.
Lo osserva il collegio giudicante stesso.
«Proprio in virtù di tale sentimento amicale si spiega il comportamento di Bedostri, che tardò la presentazione della denuncia nei confronti di Caliandro e degli altri. Cercò in tutti i modi di ritardare di adire l’autorità giudiziaria per non coinvolgere l’amico di lunga data. Bedostri ha ricordato come Caliandro cercò di aiutarlo nel corso della sua vita».
Alla fine però si recò in commissariato e fece arrestare tutti. La vicenda partì da un prestito di 120mila euro ottenuto da Caliandro. Sarebbe stato proprio lui a mettere in atto le prime intimidazioni per ottenere la restituzione del denaro.
Il recupero crediti venne poi affidato a zio Gianni e al Moro e che dettero il via a un’escalation di violenze e pressioni terribili.
Alla fine Bedostri si ritrovò costretto a lavorare sotto “commissariamento” ossia con il controllo diretto di uno degli uomini della banda, che piantonava la sua attività così da requisire l’incasso della giornata.
Il gup Luisa Bovitutti all’inizio dell’anno aveva già condannato Antonino Pinto a cinque anni: il Moro aveva infatti scelto il rito abbreviato. Quattro anni e tre mesi e tremila euro di multa andarono a Giuseppe Nota, un anno un mese dieci giorni e 700 euro a Francesco Nota. Giuseppe Gentile, per il quale venne esclusa l’associazione a delinquere, patteggiò un anno e sei mesi e 500 euro di multa, con il beneficio della sospensione della pena.
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