ARTE
Mattioli e i cestini del Caravaggio

La portò con sé da Roma, ma rimane un mistero se la Canestra di frutta del Caravaggio sia stata acquistata o regalata al cardinale Federico Borromeo che la tenne comunque come opera preziosa, degna della più alta considerazione, cercando a lungo un dipinto simile come pendant per la sua collezione, in seguito donata alla Pinacoteca Ambrosiana. La natura morta di Caravaggio, opera iconica del museo milanese e insuperabile modello che ha inaugurato il genere pittorico, affascina per il realismo con cui Caravaggio dà vita alla frutta nel cesto di vimini in contrasto con il fondo neutro, compatto e impenetrabile.
Una fascinazione, quella suscitata dalla fiscella, che non si è mai esaurita, dai tempi della sua realizzazione fino alla contemporaneità. Uno degli esempi più alti del dialogo e del confronto con l’opera caravaggesca è il lavoro di Carlo Mattioli (1911-1994), sfociato un ciclo di dipinti e disegni che l’artista espose alla Biennale di Venezia del 1968, ma che rimase visibile solo il giorno dell’inaugurazione, a causa delle contestazioni che segnarono quell’edizione e ne causarono la chiusura. I Cestini del Caravaggio di Mattioli tornarono così al silenzio dello studio in cui erano nati.
Oggi questo ciclo torna visibile nell’esposizione Mattioli/Caravaggio. The lightful fruit, in corso alla Pinacoteca Ambrosiana, ideata ed organizzata dalla Fondazione Carlo Mattioli di Parma. Una ventina le tele del maestro emiliano, esposte in più sale, in un confronto diretto con l’opera di Caravaggio, insieme a video e vetrine che raccolgono i materiali impiegati da Mattioli e raccontano il processo creativo di questa serie. Mattioli si accosta al modello secentesco declinandolo prima in uno studio profondo legato alla volumetria e alla luce, poi ingrandendone i particolari, con il cesto che diventa il fulcro attorno cui ruota tutta la sua ricerca. Mattioli opera tra realtà e astrazione, “per via di levare”, asciugando i dettagli della tela caravaggesca, fino a ottenere solo particolari che tornano ossessivamente: foglie, rami, frutta. Perfino la canestra è semplificata in un accumulo di scatole.
Si arriva così a L’ombra del Caravaggio, come titolano degli ultimi quadri della serie in cui l’artista, scrive Anna Mattioli in catalogo, «giunge all’afasia cromatica, grafica e figurativa. Un veliero in un mare in tempesta che finge di quietarsi nel verde ossessivo senza alcuna speranza di luce».
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