ARTE
Soddu, riportare tutto alle geometrie del ferro
L’esposizione mette in scena 20 anni di carriera

La ex Chiesa di San Sisto nel centro di Milano, oggi Studio Museo Francesco Messina, è la prestigiosa sede che, approfittando della trasferta romana dello scultore siciliano, ospita (fino al 12 giugno) una delle ultime esposizioni di Stefano Soddu (Cagliari, 1946; vive e lavora a Milano), Geometrie del ferro; una delle ultime esposizioni, ma non propriamente ultime le fatiche esposte: i lavori percorrono venti anni della ricerca artistica di Soddu.
Una strada che si dipana lungo percorsi storici riconoscibili, che vanno dalla scultura minimale americana fino allo spazialismo di Lucio Fontana, ma che rimane potentemente ancorata alla terra, al suolo dal quale si estrae il metallo che regna incontrastato in questa mostra: il ferro. Una terra che s’immagina aspra e ruvida (e legando pratica artistica a biografia balzano alla mente certi paesaggi aspri e ruvidi e brulli dell’isola natìa dell’artista).
Il titolo, sotto il quale questa mostra è ordinata, è ‘minimalista’: riduce le opere alle loro componenti basilari. Ferro, la materia; geometria, le forme. E così operando, lascia allo spettatore il compito fondamentale di riunire i due elementi in una costituzione complessa, nella quale ciascuno dei due fattori, senza sciogliersi nell’indistinto, si accorda individualmente in un’opera unica, conclusa in sé stessa e presente allo spettatore. Ma si avverte qualcosa, nei lavori qui raccolti, che supera la materia, supera la forma e non è solo spirituale; è come una forza carsica che, affiorando senza enfasi, innerva ognuna di queste entità di un vigore arcaico, lievemente imbrigliato da una cultura primordiale (il ferro appunto che prende le forme primarie del cerchio, del quadrato, del triangolo, della mezzaluna).
Ecco, quindi, che queste forme geometriche scoprono una natura ‘intima’ e si fanno geomantiche, divinatorie; abbinate alle polveri colorate che caratterizzano alcuni lavori, incise energicamente, risolutamente, quasi violentemente rassomigliano a strumenti oracolari il cui interpello esige pratica e pazienza, osservazione e sentimento. E così ci si aprono lacerti di visioni passate: le potenze dalla materia e la sfida che l’Uomo tecnologico ad esse lancia (Ruote, 2010); e infine, il potere del tempo che tramuta anche il ferro più tenace nella polvere più leggera.
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